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Archivio per Urbanismo

Carmilla on line | Ripensare la città secondo Murray Bookchin


Su CarmillaOnLine un’interessante recensione di Gioacchino Toni a Dall’urbanizzazione alle città, di Murray Bookchin, dove viene trattato il concetto di città, di abitare l’urbano, in relazione alle modalità di vita e pensiero nell’epoca globalista del liberismo. Un estratto:

…il volume di Murray Bookchin intende formulare una politica municipalista confederale volta a estendere l’autodeterminazione del cittadino attraverso confederazioni di villaggi, borghi e città in contrapposizione allo Stato-nazione.
A differenza di chi, nel denunciare lo svilimento del ruolo del cittadino nella società contemporanea, ha finito col limitarsi a proporre “soluzioni adattative”, la proposta dell’anarchico Bookchin non si rifà all’idea di conquista del potere statuale da parte di un’élite illuminata agente in nome della collettività, bensì mira a un’estensione delle forme di democrazia partecipativa.
Il volume ricostruisce la storia della città intendendola non come ambito di scambio capitalista e di gratificazione individuale, ma come luogo di una politica democratica partecipata. Così come gli ecosistemi si basano sulla partecipazione e sul mutualismo, altrettanto le città, e chi le abita, devono, secondo l’autore, riscoprire tali qualità, stabilendo relazioni sociali armoniose ed etiche.
Il municipalismo democratico rappresenta dunque una filosofia emancipatrice fondata su principi di autodeterminazione, in cui la politica diventa agire quotidiano in cui le comunità locali assumono nelle proprie mani il potere decisionale. Dalla Comune di Parigi alla rivoluzione curda nel nord-est siriano, il municipalismo democratico si configura come strumento utile a sottrarre potere allo Stato-nazione proponendosi di sostituire alla logica dell’urbanizzazione capitalista quella di una società fondata su principi solidaristici, ecologici ed egualitari.
Al fine di recuperare la politica, la cittadinanza e la democrazia, secondo l’autore, occorre guardare alla città come a un’arena pubblica in cui confrontarsi e discutere di affari pubblici, delle modalità con cui migliorare la vita degli individui in quanto esseri civici.

Chemical Waves – In need on the Marquee Square (feat. LOVATARAXX)


Nelle pieghe di Roma, il buio più profondo respira e vive.

Dialettica della città e spazio dei movimenti – Carmilla on line


Su CarmillaOnLine riflessioni molto ragionate sul rapporto tra Architettura, Urbanismo e Politica, intesa in senso lato come religiosa, dittaturale o anche economica; si parte dal saggio di Henri Lefebvre, Spazio e politica. Il diritto alla città II.

La miseria e il degrado urbani sono alcune delle caratteristiche più appariscenti delle società contemporanee a dieci anni dalla scoppio dell’ultima grande crisi mai realmente superata. Non si tratta però di un processo che possa essere attribuito semplicemente ad un mix di austerità, malagestione pubblica e speculazione edilizia. Queste sono solo le cause più prossime che rimandano ad una dinamica più profonda e cioè al rapporto contraddittorio, dialettico, tra città e capitalismo. Henri Lefebvre sostiene infatti che il capitalismo accresce a dismisura le città determinando una esplosione-implosione delle sue tradizionali caratteristiche. Detto altrimenti, la città è negata e, al tempo stesso, generalizzata a livello della società intera, come si può leggere in Spazio e Politica, un testo che, scritto nel 1974 e ripubblicato quest’anno in Italia, è stato concepito dal suo autore come secondo volume de Il diritto alla città, uscito nel 1967 e ristampato nel 2014, sempre da Ombre Corte.

Quali sono le caratteristiche della città tradizionale secondo Lefevbre? La città è luogo per eccellenza dell’incontro e della simultaneità. Incontro significa confronto tra differenze, anche ideologiche e politiche, reciproca conoscenza dei diversi modi di vivere. La città è luogo del desiderio, dello squilibrio, dell’imprevisto, della dissoluzione dell’ordinario e dei vincoli, fino all’implosione-esplosione della violenza. La città nasce non solo come prodotto ma soprattutto come opera, nel senso di opera d’arte. In essa il valore d’uso prevale sul valore di scambio. Lo spazio non è soltanto organizzato, ma è anche modellato e appropriato dalle esigenze, dall’etica, dall’estetica, dall’ideologia dei gruppi sociali che lo abitano. La monumentalità, ma anche l’uso del tempo, sono aspetti essenziali di questa opera. L’uso principale delle strade, delle piazze e dei monumenti è la festa in cui si consumano improduttivamente ricchezze senza nessun altro vantaggio che il piacere ludico e il prestigio. Per tutti questi motivi non esiste nessuna realtà urbana senza un centro, senza un luogo di concentrazione di tutto ciò che può nascere e prodursi nello spazio. Nei diversi periodi storici la città ha creato differenti centralità: religiose, politiche, commerciali. La vita comunitaria, però, non esclude la lotta fra gruppi, fazioni, classi. Tutt’altro. Proprio perché i più ricchi si sentono minacciati da vicino giustificano le loro fortune donando alle città opere, monumenti e feste. Per questo civiltà fortemente oppressive si rivelano particolarmente creative.
Quando, con il capitalismo, lo sfruttamento direttamente economico sostituisce l’oppressione extraeconomica la creatività scompare. Il filosofo francese sostiene che nella città capitalistica gli elementi della società sono separati nello spazio determinando la dissoluzione dei rapporti sociali e l’affermazione della logica della segregazione. La separazione, però, è al tempo stesso vera e falsa perché lo spazio urbano si costituisce come l’unità del potere nella frammentazione, come un’integrazione disintegrante. Gli spazi del tempo libero sono separati da quelli della produzione cosicché appaiono affrancati dal lavoro, mentre sono ad essi collegati dal consumo organizzato, dominato. L’abitare, che significava partecipare alla vita sociale, fare parte di una comunità, diviene funzione a sé stante con la creazione dei sobborghi. Gli individui e i gruppi sono sradicati dai territori dove vivono, le relazioni di vicinato si attenuano, il quartiere si sgretola. Nulla sostituisce i vecchi simboli, gli stili, i monumenti, i ritmi, gli spazi qualificati e differenziati della città tradizionale. Il centro viene riprodotto sotto forma di centro direzionale, in cui si concentra potere, finanza, conoscenza, informazione, e di centro commerciale, luogo dove il monofunzionale resta la regola, interpolato da estetismi e decorazioni non funzionali, da simulacri di festa e di ludico. Il centro delle città più antiche può sopravvivere solo come luogo di consumo e consumo di luogo a beneficio dei turisti.

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