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NeXT Hyper Obscure

Archivio per febbraio 22, 2024

Petrified Entity – Idiot Box


Muovi al tempo della paranoia, a scatti come la luce.

Creazione di mondi


Costretto lungo le linee tratteggiate della psiche informe so cosa devo fare, non come: la volontà di esserci ancora è una forma importante di dominio sul reale, una creazione di mondi intrinseca allo stesso motivo di esistenza.

Il Principato di Teodoro (1238-1475). L’ultimo Stato romano. – TRIBUNUS


Su Tribunus la storia dell’ultimo avamposto romano nella cronologia medioevale, caduto nel 1475: il Principato di Teodoro.

Nel 1453 cade Costantinopoli, sancendo ufficialmente la fine dell’impero romano, e nel 1461 vengono conquistate dagli Ottomani la Morea e l’impero di Trebisonda. Bisogna però aspettare ancora qualche anno perché sia conquistata anche, sempre dagli Ottomani, l’ultima realtà statale romana indipendente, nel 1475. Si tratta del Principato di Teodoro, o Principato di Gothia, sulla costa meridionale della penisola di Crimea.
“Teodoro” non si riferisce al nome di una persona, ma a quello della città che funge da capitale di questo piccolo regno romano, ovvero 𝘛𝘩𝘦𝘰𝘥𝘰𝘳𝘢𝘰 (anche nota come Mangup e Doros). Il nome emerge per la prima volta in fonti del XIV sec., insieme al nome “Principato di Gothia”. Un nome che deriva dalla presenza ininterrotta, per secoli e secoli, dei Goti di Crimea – ovvero quei Goti che, nel IV secolo, non migrarono verso il Danubio.

Gli ultimi giorni del Principato di Teodoro giungono tra 1474 e 1475, durante il regno del principe Isacco (chiamato “Saichus” nelle fonti genovesi). Gli Ottomani, guidati da Gedik Ahmet Pashà, dopo aver conquistato la città di Caffa (precedentemente, Theodosia) dai Genovesi, con un assedio brevissimo, procedono contro Teodoro Mangup. L’assedio si prolunga da settembre a dicembre del 1475.
Nonostante gli abitanti della città e i soldati (tra cui trecento Valacchi) resistano ad almeno cinque assalti, alla fine si devono arrendere per fame – a patto che il Principe, gli abitanti e la città vengano risparmiati. Un accordo che però, come sappiamo dalle fonti turche stesse, non è rispettato: i capi del Principato vengono portati a Costantinopoli e giustiziati, le loro mogli e figlie offerte agli ufficiali del Sultano, i loro beni sono consegnati a Maometto II.

Finisce così la Storia di questo piccolo, peculiare e troppo poco conosciuto principato a matrice romana, ultimo lembo di quelle realtà nate dall’ultima spaccatura dell’impero romano nel 1204.

Giochi e finzioni


Il gioco delle finzioni passa per gli sguardi, e per le anomalie empatiche che sembrano altro. Ma poi, è davvero “altro”?

Dune – Parte Due | FantasyMagazine


Su FantasyMagazine la recensione di Emanuele Manco alla seconda parte di Dune, l’adattamento cinematografico alla celebre saga di Frank Herbert; un estratto:

Si completa l’adattamento del romanzo Dune di Frank Herbert, uno dei più acclamati classici della fantascienza letteraria.
Dune – Parte Due inizia poco dopo la fine del primo film. D’altra parte, se si analizza l’arco narrativo tracciato, è come se Dune – Parte Uno, diretto da Denis Villeneuve, raccontasse il primo atto e la prima metà di un secondo atto della vicenda di Paul Atredeis, personaggio destinato a essere molte cose.

È insistente in questa seconda parte la pressione sul protagonista, quasi palpabile per lo spettatore. La lotta di un ragazzo che, nonostante il desiderio di vendicarsi della distruzione della sua famiglia, vorrebbe sottrarsi alle tante aspettative di chi vorrebbe che fosse “il prescelto”: La madre Jessica che lo ha preparato per essere lo Kwisatz Haderach, più potente di una Reverenda Madre Bene Gesserit; Stilgar, un capo dei fremen del pianeta Arrakis che in Paul vedono il profeta tanto atteso che li porterà alla liberazione degli oppressori, detto Lisan Al-Gaib o Mahadi.
Come già nel primo film, Villeneuve descrive le ambientazioni con assoluto minimalismo. Le architetture sono brutaliste. I costumi stilizzati. Anche le scene della casa Imperiale Corrino sono ben lungi dall’essere barocche e sfarzose, negli ambienti e nei costumi. Di contro, a una sintesi delle linee corrisponde spesso una dimensione gigantesca degli ambienti. I deserti e i vermi di Dune sovrastano gli esseri umani, così come le astronavi, le mietitrici di spezia. Nelle scene del pianeta Harkonnen il senso di angoscia e di oppressione è reso non solo ambienti enormi come l’anfiteatro che richiama gli spettacoli dei gladiatori romani, ma anche da un abbacinante uso del bianco e nero. Mentre su Arrakis le scale cromatiche sono influenzate dai marroni e dal rossiccio della spezia che permea ogni cosa, sulle quali spiccano gli occhi azzurri dei Fremen.

Viste le due parti come un solo film, Dune è un ottimo adattamento cinematografico della saga letteraria. Se la sceneggiatura tradisce la lettera in quello che è funzionale al ritmo cinematografico, di contro come Frank Herbert usava le parole e i dialoghi per tessere al meglio il suo arazzo, Villeneuve compie gli stessi virtuosismi con le immagini, lasciando che sia lo spettatore a cogliere l’essenza del racconto visivo. Se il primo film era palesemente tronco, dipendente totalmente da una seconda parte, in questo caso si può parlare di finale aperto.

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