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Dune – Parte Due | FantasyMagazine
Su FantasyMagazine la recensione di Emanuele Manco alla seconda parte di Dune, l’adattamento cinematografico alla celebre saga di Frank Herbert; un estratto:
Si completa l’adattamento del romanzo Dune di Frank Herbert, uno dei più acclamati classici della fantascienza letteraria.
Dune – Parte Due inizia poco dopo la fine del primo film. D’altra parte, se si analizza l’arco narrativo tracciato, è come se Dune – Parte Uno, diretto da Denis Villeneuve, raccontasse il primo atto e la prima metà di un secondo atto della vicenda di Paul Atredeis, personaggio destinato a essere molte cose.È insistente in questa seconda parte la pressione sul protagonista, quasi palpabile per lo spettatore. La lotta di un ragazzo che, nonostante il desiderio di vendicarsi della distruzione della sua famiglia, vorrebbe sottrarsi alle tante aspettative di chi vorrebbe che fosse “il prescelto”: La madre Jessica che lo ha preparato per essere lo Kwisatz Haderach, più potente di una Reverenda Madre Bene Gesserit; Stilgar, un capo dei fremen del pianeta Arrakis che in Paul vedono il profeta tanto atteso che li porterà alla liberazione degli oppressori, detto Lisan Al-Gaib o Mahadi.
Come già nel primo film, Villeneuve descrive le ambientazioni con assoluto minimalismo. Le architetture sono brutaliste. I costumi stilizzati. Anche le scene della casa Imperiale Corrino sono ben lungi dall’essere barocche e sfarzose, negli ambienti e nei costumi. Di contro, a una sintesi delle linee corrisponde spesso una dimensione gigantesca degli ambienti. I deserti e i vermi di Dune sovrastano gli esseri umani, così come le astronavi, le mietitrici di spezia. Nelle scene del pianeta Harkonnen il senso di angoscia e di oppressione è reso non solo ambienti enormi come l’anfiteatro che richiama gli spettacoli dei gladiatori romani, ma anche da un abbacinante uso del bianco e nero. Mentre su Arrakis le scale cromatiche sono influenzate dai marroni e dal rossiccio della spezia che permea ogni cosa, sulle quali spiccano gli occhi azzurri dei Fremen.Viste le due parti come un solo film, Dune è un ottimo adattamento cinematografico della saga letteraria. Se la sceneggiatura tradisce la lettera in quello che è funzionale al ritmo cinematografico, di contro come Frank Herbert usava le parole e i dialoghi per tessere al meglio il suo arazzo, Villeneuve compie gli stessi virtuosismi con le immagini, lasciando che sia lo spettatore a cogliere l’essenza del racconto visivo. Se il primo film era palesemente tronco, dipendente totalmente da una seconda parte, in questo caso si può parlare di finale aperto.
La zona di interesse | FantasyMagazine
Su FantasyMagazine la recensione di Emanuele Manco al film “La zona di interesse”, di Jonathan Glazer, pellicola molto particolare sul punto di vista dei guardiani dei campi di sterminio nazisti, sulle grandi ipocrisie che l’umano può architettare. Un estratto:
Un’oasi di pace nella campagna polacca. Una famiglia felice, che si gode il piacere di una gita all’aperto, che abita in una bella casa. La perfetta rappresentazione di un’utopia. Non fosse che basta alzare lo sguardo, o prestare attenzione a rumori e voci di sottofondo, per notare come l’utopia sia fondata sulla morte e la sofferenza.
La Zona d’interesse (The Zone of Interest) di Jonathan Glazer, ispirato all’omonimo romanzo di Martin Amis, racconta di Rudolf Höss, comandante di Auschwitz, burocrate che ha reso il campo di sterminio un modello per tutti gli altri campi nazisti durante il governo di Adolf Hitler, attuando con fredda determinazione la “soluzione finale”.
Glazer si mantiene distaccato dalla famiglia Höss. La camera è fissa, raramente i soggetti sono inquadrati in campi ravvicinati. C’è sempre “aria” intorno a loro, uno spazio fisico che si contrappone a quello spazio mentale che i protagonisti della vicenda hanno chiuso, ignorando volutamente quanto accade a pochi metri da loro. O forse ignorando no. Perché se molti esecutori del piano di sterminio si sono detti meri esecutori degli ordini, come lo stesso Höss, osservando con attenzione il loro operato non si può non notare il compiacimento, il lucro, il senso di rivalsa nei confronti di vittime che fino a poco prima guardavano dal basso verso l’alto, invidiosi del loro status sociale. Sono emblematici in tal senso alcuni passaggi: la signora Höss, tragicamente chiamata la regina di Auschwitz, che si bea di una “nuova” pelliccia; sua madre che, in visita, si rammarica di non essere riuscita ad accaparsi i beni di una signora ebrea che probabilmente ha trovato la morte nel campo.
Il lavoro sul sonoro di Tarn Willers e Johnnie Burn è l’altro elemento su cui si posa la narrazione del film. Il rombo di sottofondo dei forni crematori, urla, gemiti, spari, un sottofondo continuo che racconta il dramma più di quanto mostri la superficie. Il cast, per bravura, fa ancora più paura. I protagonisti non sembrano recitare, con straordinario senso della misura, come se per qualche magia le riprese siano state effettuate nel tempo in cui gli eventi si sono verificati, e che in fondo il film sia un documentario.
Killers of the Flower Moon | FantasyMagazine
Su FantasyMagazine la recensione di “Killers of the Flower Moon”, uno di quei film che credo mi farà rimpiangere la mia pigrizia endemica nel mettermi per ore a vedere un film, come se non avessi tempo da impiegare in un abbandono di argomenti che sfuggono al mio controllo. Un estratto:
Più o meno un secolo fa, nel territorio della Nazione Osage, in Oklahoma, Stati Uniti d’America, venne trovato il petrolio. La ricchezza che investe la popolazione nativa suscita la cupidigia di una intera nazione, nonché l’invidia degli “uomini bianchi”. Tanto che i civili cittadini di Fairfax ordirono un complotto per privare i nativi delle loro ricchezze, ricorrendo all’inganno in vari modi: ricatto, prestito a usura, omicidi, matrimoni combinati con donne native.
Organizzatore di questo complotto è il notabile locale William Hale (Robert De Niro) che, tra le tante trame che ordisce, convoca a Fairfax suo nipote Ernest Burkhart (Leonardo Di Caprio), convincendolo a corteggiare e sposare la giovane Mollie Kyle (Lily Gladstone), la quale possiede, insieme alle tre sorelle e la madre, una delle più ricche concessioni. Lo scopo finale è quello di uccidere la donna, la madre e le sorelle per fare ereditare a Ernest tutti i loro beni. Ma le morti dei nativi non possono passare inosservate. Sentendosi sotto attacco gli Osage riescono a convincere il governo federale a inviare una squadra della nascente FBI di J. Edgar Hoover, per indagare sugli eventi. Ernest diventerà un testimone chiave dell’inchiesta e, messo alle strette dall’agente Tom White (Jesse Plemons) dovrà decidere tra il restare fedele allo zio o salvare la vita della moglie e dei suoi figli deponendo in tribunale.
Venti anni di FantasyMagazine
Su FantasyMagazine l’editoriale del direttore Emanuele Manco, che tira un po’ le somme di un ventennio (inteso come quello buono, come anniversario del magazine) di notizie riguardanti il mondo fantasy, in senso lato, che segue in prima persona dal 2009.
A Emanuele va riconosciuta la capacità e la lungimiranza delle sue visioni, anche connettiviste tra l’altro, dispiace solo quel filo di stanchezza che si nota nel suo articolo, ma Manco è uno di quelli vulcanici, sempre pronto a ricalibrare la sua vita partendo da ciò che ha sottomano e troverà quindi un’altra soluzione, ancora più brillante, sempre più all’avanguardia e acuta.
Grazie, Ema, per tutti i tuoi sguardi attenti.
Era il 30 maggio 2003 quando veniva pubblicata la nostra news “Numero 1”, intitolata FantasyMagazine è on line.
Quella redazione ha subito nel tempo vari avvicendamenti, e non vi nascondo che in questo periodo sia decisamente sotto organico. D’altra parte è cambiato molto dell’approccio con il quale ci si avvicina alla produzione di contenuti in rete.
Vent’anni in questo mondo sono un’immensità. Penso che il giornalismo online in questi anni abbia avuto più cambiamenti di quanto non ebbe quello cartaceo in un secolo. Dirigo questa rivista dal 2009 e ho sentito sempre molto forte la spinta a un cambiamento del nostro modello, ma non è sempre facile ottenere quello che si vuole. L’editore del resto è molto indaffarato su vari fronti e il tempo è sempre poco se si deve lavorare ad altre cose per vivere.Quello che penso è scrivere qui dovrebbe essere più un hobby non remunerato, ma i numeri e la raccolta pubblicitaria non consentono sogni di gloria. La pandemia forse ha azzoppato dei progetti e messo in stand by molte cose, e non tutto in fondo è ancora ripreso.
A livello personale posso dire che, osservando che nessuno ha notato che gli articoli con “il meglio della settimana” sono spariti, non ho più avuto nessuna voglia di scriverli. Idem per molte cose, molte letture, molte visioni, che sono rimaste, come dire “sulla punta delle mie dita”. Non sono neanche certo che questo articolo verrà letto, pertanto lo affido qui, come un messaggio in una bottiglia, per vedere l’effetto che fa.Ringrazio anche quei pochi lettori che sono rimasti, o quelli che sono arrivati da poco a sostituire quelli che sono rimasti. Meritate comunque la nostra attenzione. A teatro lo spettacolo si fa al meglio anche per uno o pochi spettatori, altrimenti è meglio non farlo. Poi ringrazio tutti coloro che hanno scritto anche solo un articolo in questi venti anni. Ogni contributo ci ha portato dove siamo oggi. Il punto è capire dove siamo e dove andremo. Ma questo lo scopriremo solo vivendo, come recitava una canzone.
The Whale | FantasyMagazine
Su FantasyMagazine la recensione di Emanuele Manco a The Whale, ultimo film di Darren Aronofsky che, sappiamo bene, per ogni pellicola che realizza pone sotto shock i suoi spettatori. Ma di cosa parla in questo suo nuovo lavoro?
Quando entriamo gradualmente nella vita di Charlie (Brendan Fraser), insegnante di letteratura in gravissimo sovrappeso, adagiato pesantemente sul suo divano, lo facciamo dalla prospettiva di Thomas (Ty Simpkins), un questuante di una setta che irrompe per caso nella vita del docente.
Charlie non puà alzarsi, con il suo peso di oltre trecento chili. La porta è aperta perché Liz (Hong Chau), la sua migliore amica e infermiera che lo assiste da anni, non se l’è sentita di lasciarlo con la porta chiusa in sua assenza. Ma a irrompere da quella stessa porta non sarà solo il giovane Thomas. Ellie (Sadie Sink), entra in quel caos che ha solo vaghi ricordi di quella che era una vita, non sa bene in cerca di cosa. Di risposte? Di aiuto? Charlie è consapevole di avere i giorni contati e non chiede molto, solo di ritrovare un minimo di rapporto con la figlia prima della fine.
Non più più curarsi, non ne ha le possibilità.
Gradualmente, dalle prospettive di chi entra in quel microcosmo, scopriremo “la verità”. Cosa ha portato Charlie in quello stato, quale dramma, quali sensi di colpa lo hanno spinto.Praticamente assenti sono gli esterni, pochi gli ambienti. Il formato cinematografico 4:3 è funzionale a evidenziare l’immensa e tragica mole del protagonista. Ma, nonostante The Whale racconti gli ultimi giorni della vita di un uomo, non è un film senza speranza. Nonostante l’ingombrante presenza, non solo fisica, ma anche emotiva di Charlie, è anche la storia dei comprimari, Thomas ed Ellie in primis che vivranno il loro complesso arco narrativo in pienezza.
Una storia di empatia, di speranza che ci si possa sempre mettere dal punto di vista degli altri, capire le ragioni di chi sembra aver commesso solo errori, spinti dalla stessa domanda di Charlie:Hai mai la sensazione che le persone siano incapaci di non avere un cuore?Vi avviso, The Whale vi disturberà. Sul piano emotivo e sul piano fisico. Probabilmente dovrete bene metabolizzarlo prima di riflettere su cosa vi ha lasciato. Probabilmente non vorrete più rivederlo, o non subito quantomeno. Ma è da non perdere.
Cronache della Sicilia distopica | Fantascienza.com
Su Fantascienza.com la segnalazione di un racconto che narra una Sicilia forse diversa dall’attuale; la quarta:
Dopo l’uscita di Trinacria Station, l’antologia che ospitava il meglio della fantascienza siciliana, l’isola dell’Etna torna sotto i riflettori con questo Diamanti di Mauro Bennici, autore palermitano che racconta una Sicilia decisamente mal messa. Ma c’è un personaggio che ricorda qualcosa di diverso, un passato che potrebbe diventare futuro.
Una Sicilia futura e distopica, un arzillo nonno che custodisce la memoria di un mondo antico… un mondo in cui la natura non era stata avvelenata e gli esseri umani conservavano un rapporto di simbiosi con essa. Ma è davvero tutto perduto? O c’è qualcosa che il Nonno sa e che cambierebbe tutte le carte in tavola? Qual è la reale identità dell’anziano protagonista di questa storia? Da Mauro Bennici, un racconto spiritoso e malinconico ambientato in una delle terre più belle d’Italia.