Archivio per Maggio 11, 2024
11 Maggio 2024 alle 15:48 · Archiviato in Cognizioni, Creatività, Futuro, Oscurità, Passato, Postumanismo, SF and tagged: Alien (film), Alien: Covenant, Alieni, Luce oscura, Marco Moretti, Movie, Nephilim, Prometheus, Ridefinizioni alternative, Ridley Scott, Zecharia Sitchin
Due post molto articolati – com’è costume di Marco Moretti – sul blog Perpendiculum (qui e qui) per raccontare, analizzare, speculare sui due film sequel – o prequel – della saga di Alien, del regista Ridley Scott. Invito a leggere attentamente cosa propone Marco, una rilettura della proposta di Scott che subodoravo da tempo e che va in netta controtendenza col gusto comune del pubblico; insiti nella critica proposta alcuni concetti estremi, ma non per questo meno accattivanti, meno interessanti. Un piccolo estratto:
Ridley Scott ha intitolato il film Prometheus perché riteneva che il nome si adattasse perfettamente alla trama. Questo ebbe a dire: “È la storia della Creazione, degli Dei e dell’uomo che si oppose a loro”. Nella mitologia greca, il Titano Prometeo era un servitore immortale degli Dei, che rubò e diede al genere umano il dono del fuoco divino. Questo beneficio incommensurabile cambiò l’umanità per sempre – nel bene e nel male. In altre parole, Prometeo ha reso l’Uomo pericoloso per gli Dei.
Per la prima volta da Alien³ viene mostrata la realtà vista da un alieno. Tuttavia, in Alien: Covenant vediamo l’effettivo spettro visivo della creatura, il che conferma che gli xenomorfi possono effettivamente vedere nonostante una credenza diffusa li voglia sprovvisti di occhi. Nel corso degli anni i fan hanno delirato producendo un gran numero di ipotesi: a loro detta le teste a cupola allungate degli alieni sarebbero determinanti nel convertire la luce, i segnali di calore, l’odore, il suono e le vibrazioni in dati visivi. In realtà questi parassitoidi hanno gli occhi, solo che sono nascosti da una placcao di polimero trasparente dall’interno, che fa parte del cranio. Nei neomorfi gli occhi occupano una piccola fossetta e i nervi ottici che li collegano al cervello non sono visibili nella sezione che David ha disegnato, realizzato ed esposto nel suo laboratorio.
11 Maggio 2024 alle 11:51 · Archiviato in Creatività, Empatia, Experimental, InnerSpace, Oscurità, Tersicore and tagged: Alice Winkler, BandCamp, Calderon de la Barca, Claudio Rocchetti, Droni, Hölderlin, Ridefinizioni alternative
[Letto su Neural]
È ispirato agli scritti di Hölderlin e Calderon de la Barca questo ritorno dopo sei anni di silenzio di Claudio Rocchetti, che va ad arricchire il catalogo di Die Schachtel, etichetta adesso arrivata al quinto capitolo della raccolta Decay Music. Il compositore, performer ed editore, originario di Bolzano ma oramai residente a Berlino, che assieme ad Alice Winkler è anche uno dei fondatori e curatori della Black Letter Press – piccola casa editrice specializzata in libri rari e antichi, in particolare focalizzati su scienza e storia della scienza, poesia e filosofia occulta – ha collaborato per questo progetto con la Fondazione Lenz di Parma, un collettivo di ricerca sul teatro contemporaneo il cui obiettivo è quello di creare complessi progetti performativi e visivi, da far confluire poi in coproduzioni musicali e teatrali. Ci son voluti ben quattro anni per completare Labirinto Verticale, la cui vocazione è profondamente spirituale, magica e prodigiosa: alchemica nella congiunzione fra suoni più sperimentali e musica da camera, sound design ed elaborazioni scaturite dalla pratica di laboratori interdisciplinari. “Non essere freddo” c’introduce con le sue arie occulte e chiesastiche subito nel climax dell’opera, che è il risultato di più performance, andate in scena tra il 2018 e il 2021. “Emblemata” è più intangibile e s’impone nelle forme di un’orchestrazione decostruita e gentilmente caotica, così come la successiva “La Malattia”, che è un drone di appena poco più d’un minuto. Sono le voci disincarnate e ultraterrene a segnare le trame di “Questa Debole Forza”, dove i temi dei dualismi presenza-assenza, materia-incorporeo, contemporaneità-memoria, sembrano guidare la ricerca del musicista e sperimentatore, quantomai a suo agio con atmosfere umbratili e ieratiche. Anche in “Molto Sono Teso” le voci sono al centro dell’azione, sovrapposte, incastrate in un gioco di riflessi indecifrabili e cupi, prima di chiudere con la traccia che dà il titolo all’uscita, una corposa suite di quasi quindici minuti, dove è ancora più netta la dicotomia fra musica orchestrale e sound design. Stratificazioni di suoni che evidentemente influiscono proprio sull’approccio di Rocchetti alla composizione, che è un continuo rimestare di atmosfere e passaggi artigianalmente messi a punto. “A volte il cielo e la terra si invertono e il labirinto ci spinge in luoghi oscuri” dove le invocazioni si fanno astratte e visionarie: intangibili spettrali frammenti, al tempo stesso gentili e rarefatti, perturbanti e malinconici. Labirinto Verticale trascende le singole occasioni per le quali le composizioni sono state costruite e nel complesso rende merito di come anche materiale dalle origini più articolate possa infine essere confezionato in maniera coerente e significativa.