HyperHouse

NeXT Hyper Obscure

Archivio per Maggio 25, 2024

Never more


Non sono più interessato ai rapporti. Non tollero più le complicazioni dettate dalle sofisticazioni caratteriali, non voglio più impattare con gli egoismi umani per seguire una regola conviviale pena la solitudine; che sia, allora, questa solitudine emotiva! Che si risolva in un incontro fisico e non spirituale, se quest’ultimo dovesse significare esplorare soltanto il bassamente umano, non le guglie inumane; che le rincorse trascendentali si sfaldino sulla mia pelle e facciano dimenticare ogni dinamica di coppia: non ho più quella coatta determinazione d’ascoltare i faticosi cortocircuiti mentali altrui.
Signora, dove sei? Trovarti, scavarti, scavarsi, assume il senso delle metafisiche? Con quale tramite imponi il destarsi, quand’è notte; attraverso quali segnali mostri le inclinazioni mie, Tue, loro? Princìpi archetipali dell’inumano scaturiti dal didascalico da incarnarsi, ed è qui l’ossimoro che interpreto? Umano che desidera l’inumano attraverso la Tua lente: ma cosa sei, Tu, se ti vedo attraverso il gioco delle dominazioni e sottomissioni?
Signora, amministra la tua stirpe caotica e genera frattali, delibera la libertà, estendi la vibrazione istantanea che sei verso il bisogno interiore; tu umano ascoltati, ascoltaLa, percorri le Sue vibrazioni nella delibera delle scelte.

Mi accorgo che scavando nel principio divino, passo dal didascalico al trovarmi di fronte ai Suoi archetipi, alle dinamiche profonde dei rapporti domsub, tanto da comprendere come io abbia sostanzialmente sempre evitato di rapportarmi con l’altro e di come ora sia stanco d’interpretare la ricerca di un confronto, ma soprattutto di quanto scavare in Lei significhi ribaltare ogni logica percorsa prima, di come ciò assuma il senso della comprensione di sé, di una comunione tra umano e superiore.

 

Carmilla on line | Sul cammino dell’errore e della infelicità. Fantascienza e distopia


Su CarmillaOnLine un lungo articolo di Marco Sommariva su cosa è la distopia, argomento mai troppo dibattuto perché, essa, ella, è diventata il nostro reale in cui siamo immersi fino all’anima prescindendo dai romanzi che ne vengono animati; un estratto:

La parola distopia esprime un’utopia al negativo; quindi, se l’utopia vuol descrivere un mondo desiderabile, ideale, perfetto e rasserenante, la distopia ne mette in scena uno indesiderabile, negativo, pessimo, terrificante. Sono diversi i romanzi di fantascienza che hanno immaginato storie basate su un futuro spaventoso, nel quale non vorremmo mai vivere. Fra i tanti meriti, questo genere di letteratura è stato capace di proiettare il timore che ci affligge sempre più spesso al pensiero del domani, dell’ignoto.

Oggi più che mai temiamo che sia il potere dei singoli – Mark Zuckerberg, Elon Musk, Jeff Bezos e compagnia cantante – a decidere il nostro destino e quello dei nostri cari, e non più il potere di chi ci governa, ma nel 1973 lo statunitense William Neal Harrison, nel racconto da cui è stata tratta la sceneggiatura del film Rollerball, era stato chiaro su questo punto: “Gli uomini più potenti del mondo sono i dirigenti. Presiedono le grandi multinazionali che stabiliscono i prezzi, i salari e l’economia generale e sappiamo tutti che sono persone corrotte, che dispongono di potere e denaro quasi illimitati […].”

Oggi più che mai temiamo la tecnologia in generale, ma nel 1946 – anche in questo caso è per fare un esempio, e non lo ripeterò più – nel racconto Un logico chiamato Joe, un altro autore statunitense – Murray Leinster (pseudonimo di William Fitzgerald Jenkins) – ci aveva allertato: “Spegnere tutti i banchi di memoria? […] Ti è mai venuto in mente, amico, che questa memoria da anni tiene l’intera contabilità di ogni singola azienda? Che ha distribuito il novantaquattro per cento di tutte le trasmissioni televisive, ha dato tutte le informazioni meteorologiche, gli orari degli aerei, gli annunci di ogni vendita straordinaria, le offerte di lavoro e ogni altra notizia? Che ha garantito tutti i contatti tra persona e persona via cavo e ha registrato ogni conversazione d’affari e ogni contratto? Ascoltami bene, amico: i logici hanno cambiato la civiltà. I logici sono la civiltà! Se spegniamo i logici, torniamo a un tipo di civiltà che non sappiamo più come gestire!”

Lo chic radicale – L’INDISCRETO


Su L’Indiscreto un lungo articolo che indaga a fondo alcune tematiche legate al mondo della Moda, mettendole in relazione con le dinamiche radicalchic e con le imposizioni del Mercato; un estratto:

La moda è «un generatore permanente di luccicanze e desideri imprevisti», un supplemento di vita ulteriore che non ci condanna all’esistenza immediatamente naturale. È il processo, sempre ambiguo, sempre metamorfico, con cui ribadiamo che ogni corpo e ogni identità è un parlamento di sé. Tornare a restituire dignità a un discorso di vesti significa, da una parte, riconoscere che la materia agisce, ci condiziona, smuove in noi una geografia di desideri e pulsioni.  Dall’altra significa considerare che, per troppo a lungo, i filosofi si sono vestiti male, e che nel futuro saremo chiamati a considerare «una sfilata o un singolo capo come parte essenziale di quel patrimonio di conoscenze sublimi e fuoco di desideri che siamo abituati a chiamare, da secoli, filosofia».

«Ma forse quest’immaginario è nato proprio da noi, utenti, consumatore e veicolatore di specifiche culture, storie e movimenti di cui Gucci utilizza l’immagine, l’involucro, la copertina, mettendole in vetrina e facendole proprie. Come un nastro di Möbius – dove è impossibile definire inizio e fine, interno ed esterno – diventa difficile comprendere chi abbia creato, sfruttato, condiviso o ricreato quell’immaginario, e per molte persone non ha più importanza. Gucci ha privatizzato temi, soggettività e immaginari per costruire la sua brand identity: è un processo in atto ormai da anni e in tutta l’industria della moda».

Jens Brand – Motors / Ratchets | Neural


[Letto su Neural]

Quando si parla di simulazione negli ambiti della contemporanea sperimentazione audio e di quella che è la complessa relazione fra analogico e digitale è certamente più frequente il caso di progetti elettronici che ricreino suoni realistici piuttosto che il contrario – e cioè artefatti analogici che imitino la specifica risoluzione e grana dei suoni sintetici. È proprio in questa seconda e inconsueta categoria che è da classificare Motors / Ratchets di Jens Brand, artista cross-media che vive e lavora a Berlino, affascinato dall’idea di creare musica acustica che abbia la stessa qualità di quella elettronica. In questo album le registrazioni sono divise fra suoni di motori e di cricchetti, piccoli dispositivi di legno quest’ultimi capaci d’infinitesimali ticchettii. Sono frequenze estremamente dense – prodotte da piccoli congegni meccanici la cui velocità e direzione sono controllate per mezzo di un computer – quelle che serpeggiano fra i solchi di questa concettuale uscita Staalplaat. È una sorta di rumore bianco, unisono d’infiniti clic, come uno scroscio intenso che percepiamo solo nella sommatoria delle energie messe in gioco. Anche i motori elettrici, in maniera analoga ai cricchetti, vengono controllati tramite una patch max-msp, utilizzando regolatori di frequenza che modulano meticolosamente le risonanze, producendo loop dilatati e siderali. Insomma, le registrazioni sembrano digitali ma sono fondamentalmente analogiche, strutturate per realizzare quella che è l’articolata progettualità dell’autore, che maniacalmente sottolinea anche di non amare gli altoparlanti e di sognare una musica elettronica senza fili, i cui volumi siano direttamente espressione degli oggetti. Le cose spesso non sono quello che apparentemente sembrano: in quest’opera di Brand c’è una sorta di sfida alla realtà, la costruzione di un setting anomalo ma dove comunque l’artista stabilisce precise condizioni ideali, che sono anche fatte di speciali relazioni con gli spazi dove questi eventi auditivi sono messi in opera al fine di concretizzare una determinata resa sonora. Il suono ottenuto è saturo d’elementi, è grezzo e lancinante, seppure l’impressione è che sia sintetico. Fa capolino ancora uno dei capisaldi teorici delle avanguardie novecentesche: l’esplorazione del dualismo naturale-artificiale, relazione che evidentemente coinvolge tutto il passaggio fra la modernità e il post-umanesimo.

𝕮𝖔𝖋𝖋𝖎𝖓 𝕾𝖎𝖘𝖙𝖊𝖗𝖘 – 𝕮𝖔𝖑𝖉 𝖆𝖓𝖉 𝕷𝖎𝖋𝖊𝖑𝖊𝖘𝖘


Il vento tra le finestre, attraverso le tende, mentre ogni cosa narra la Tua pregnante presenza and philosophy.

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