HyperHouse
NeXT Hyper ObscureArchivio per Bio Art
Monolithe, inextricable artificial nature | Neural
[Letto su Neural]
Il “Monolithe” di Fabien Léaustic è un monolite che ospita il biotopo di un fitoplancton che cresce al di fuori dell’acqua, producendo ossigeno e influendo sull’ambiente del visitatore. È un’opera d’arte vivente, con una forma simbolica riconoscibile, aperta alle interpretazioni, con un ecosistema strutturalmente modificato, verosimilmente buono. C’è una chiara tensione nell’opera: la forma monolitica dell’opera è preponderante nei confronti dello spettatore, imponendo la sua presenza nello spazio: la sua natura biologica salvifica, testimoniata visivamente dalla crescente intensità del suo colore, attenua la preponderanza a favore di un supporto. La combinazione dei suoi elementi naturali e artificiali è quasi inestricabile e la sua natura vivente incoraggia lo spettatore ad accettarla. Inoltre, come per ogni opera di questo tipo, pone sorprendentemente la questione della durata di tali opere d’arte, che è solo un’altra questione aperta, generata dalla nostra capacità di costruire liberamente su sistemi molto complessi.
Micro-ritmos, AI orchestrating bacteria | Neural
[Letto su Neural]
Se la cibernetica in origine era strettamente legata alle macchine autoregolanti, immaginate dai loro creatori alla pari di esseri biologici, successivamente tale disciplina si estese su scala ambientale, simulando il complesso collegamento di processi differenti all’interno di un intero ecosistema. Il collettivo artistico Interspecifics si colloca su questa scia. La loro opera “Micro-ritmos” è costituita da uno spazio sensoriale formato dall’interazione fra processi biologici, calcolo digitale e sensazioni umane. L’opera è animata da segnali elettrici generati da cellule di batteri presenti nel terreno raccolto sul posto. I deboli segnali generati dai batteri sono amplificati e usati per attivare una serie di luci lampeggianti. In “Micro-ritmos” le luci sono catturate da videocamere collegate ai computer che utilizzano algoritmi di apprendimento automatico per il riconoscimento di pattern. Una forma di intelligenza artificiale mappa la sequenza di luci generando un suono emesso da un sistema di speaker ad 8 canali. Gli spettatori possono provare a decodificare i pattern percepiti oppure possono rilassarsi e lasciarsi incantare dal risultato. La tecnologia utilizzata è open source e ben documentata sul sito degli artisti.
edited by Regine Rapp and Christian de Lutz – [Macro]biologies & [Micro]biologies. Art and the Biological Sublime in the 21st Century | Neural
[Letto su Neural.it]
Ciò che è stato collettivamente definito in passato come “bio art” è ora diviso in una serie di diversi rami, che coinvolgono molteplici equilibri tra arte e scienza e diverse discipline collaterali. Resistente a una definizione chiara, questo campo dell’arte sembra essere sempre meno irreggimentato, diversificando i suoi approcci e la costruzione di nuovi ponti tra le discipline. Ciò è particolarmente evidente nelle recenti iniziative, come ad esempio questo esaustivo catalogo della serie [Macro]biologies & [Micro]biologies, che ha avuto luogo presso Art Laboratory Berlino tra il 2013 e il 2015, ospitando quattro mostre e numerosi seminari e workshop. Il laboratorio, come entità viva, è stato il fulcro di tutte queste attività, ma se c’è una direzione specifica che sembra sostenere alla base il progetto è la dimensione “urbana”. Questo si intravede nelle varie sezioni, che a loro volta sono in rapporto con una serie di altre discipline , ad esempio geografia, zoologia, biochimica, botanica e altre. Tale vocazione – tuttavia – è particolarmente evidente nel “Mapping the Urban Grind Mill”, un progetto di Alexandra Regan Toland che analizza il terreno circostante il laboratorio e rende il pubblico consapevole di come esso contribuisca alla sua costituzione attraverso la sporcizia “portata” sotto le scarpe. Questo si collega all’etica preferita da Denisa Kera nel suo testo, praticando quello che lei definisce “l’arte del suolo” e l’istigazione alla creazione di fondamentali “beni comuni bio” attraverso pratiche open source e DIY. L’approccio di Kera sembra particolarmente interessante ma è solo una delle tante traiettorie differenti esplorate nell’ambizioso progetto.