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NeXT Hyper ObscureArchivio per Biologia creativa
Il romanzo Premio Urania di Franci Conforti è in edicola | Fantascienza.com
Su Fantascienza.com la segnalazione dell’uscita del romanzo vincitore del Premio Urania 2021: Spine, di Franci Conforti – cover di Franco Brambilla. Ancora una volta voglio fare i complimenti a Franci per questo suo meritatissimo Premio, che scrive a proposito di questo romanzo:
Spine, o meglio la sua ambientazione solar e green, nasce in modo curioso. Quando ancora non mi ero iscritta a Biologia, immaginavo di usare il DNA per far crescere oggetti semianimati e città semiviventi. Ci perdevo un sacco di tempo, era un chiodo fisso. Gli studi, però, mi riportarono con i piedi per terra. Poi, qualche anno fa, mi sono imbattuta nei Biobuilder del MIT. Ho scoperto che condividevano quel sogno e che facevano i primi passi per realizzarlo. Io mi ero arresa al “per ora è impossibile”, loro no; il che mi lasciava un certo amaro in bocca. Non potendo contribuire in altro modo, ho pensato di farlo come penna devota alla fantascienza. Così ho ripreso i vecchi appunti e mi sono messa a scrivere il ciclo di “Spine”, che attualmente comprende tre racconti editi e questo libro. Contribuirà, mi chiedo? Non lo so, ma per cambiare il mondo serve anche l’immaginazione.
Ecco comunque la quarta ufficiale; e ora tutti in edicola 😉
Anno 3959. La Terra non è mai stata tanto ricca e rigogliosa. Nello scenario mozzafiato di una società verde e solare, l’umanità allargata prospera grazie al lavoro degli animali, con spettacolari arbopoli senzienti che svettano fronzute, prendendosi cura di chi le abita. La maestria dei bioarchitetti nel generare casealbero dalle forme e dai colori strabilianti non ha limiti. Ellie, però, è nata nel buio di una colonia spaziale. Vuole vedere la Terra e sbarca da clandestina, ma la gioia dura poco, perché qualcuno vuole ucciderla. Non ha nessuno su cui contare, e mentre la situazione precipita, segreti celati con cura vengono a galla nella consapevolezza di non avere tempo per rimediare…
Bricolage, what if a cell were to escape, like a tiger from the zoo? | Neural
[Letto su Neural]
Bricolage è un’installazione che cresce nell’incubatrice che la custodisce. In questo ambiente protetto creato ad hoc crescono dei “bio-bot”, strutture cellulari autonome, specificamente bioingegnerizzate da Nathan Thompson, Guy Ben-Ary e Sebastian Diecke. I bio-bot sono fatti di cellule di sangue, muscolo cardiaco e seta e crescono assembrandosi autonomamente in forme sempre diverse: si contraggono, si dimenano e si aggregano, diventando man mano visibili a occhio nudo. Il loro aspetto è simile a una medusa senza tentacoli, nei minimi movimenti si percepisce un ritmo che ricorda il (nostro) battito cardiaco. La mancanza di intermediazione di strumenti tecnici specifici (come per esempio il microscopio) rende l’interazione con queste entità immediata e diretta, quasi familiare. Nell’allestimento, l’installazione è accompagnata da un testo visivo della scrittrice Josephine Wilson, che esplora il concetto di “bricolage” come processo creativo che mette in relazione caotica l’arte e la scienza. “What if a cell were to escape, like a tiger from the zoo?”, “Can you feel sorry for a cell, or does it depend where they come from?”, si legge nei suoi scritti. È difficile prevedere quali forme emergeranno dal processo di autoassemblaggio, ed è in questa incertezza che lo spettatore è invitato ad entrare e osservare.
La colonizzazione
Rotoli di cognizioni si trasportano col vento desertico, alla deriva delle isole biologiche corrosive, inalterate nei millenni.
Monolithe, inextricable artificial nature | Neural
[Letto su Neural]
Il “Monolithe” di Fabien Léaustic è un monolite che ospita il biotopo di un fitoplancton che cresce al di fuori dell’acqua, producendo ossigeno e influendo sull’ambiente del visitatore. È un’opera d’arte vivente, con una forma simbolica riconoscibile, aperta alle interpretazioni, con un ecosistema strutturalmente modificato, verosimilmente buono. C’è una chiara tensione nell’opera: la forma monolitica dell’opera è preponderante nei confronti dello spettatore, imponendo la sua presenza nello spazio: la sua natura biologica salvifica, testimoniata visivamente dalla crescente intensità del suo colore, attenua la preponderanza a favore di un supporto. La combinazione dei suoi elementi naturali e artificiali è quasi inestricabile e la sua natura vivente incoraggia lo spettatore ad accettarla. Inoltre, come per ogni opera di questo tipo, pone sorprendentemente la questione della durata di tali opere d’arte, che è solo un’altra questione aperta, generata dalla nostra capacità di costruire liberamente su sistemi molto complessi.
edited by Regine Rapp and Christian de Lutz – [Macro]biologies & [Micro]biologies. Art and the Biological Sublime in the 21st Century | Neural
[Letto su Neural.it]
Ciò che è stato collettivamente definito in passato come “bio art” è ora diviso in una serie di diversi rami, che coinvolgono molteplici equilibri tra arte e scienza e diverse discipline collaterali. Resistente a una definizione chiara, questo campo dell’arte sembra essere sempre meno irreggimentato, diversificando i suoi approcci e la costruzione di nuovi ponti tra le discipline. Ciò è particolarmente evidente nelle recenti iniziative, come ad esempio questo esaustivo catalogo della serie [Macro]biologies & [Micro]biologies, che ha avuto luogo presso Art Laboratory Berlino tra il 2013 e il 2015, ospitando quattro mostre e numerosi seminari e workshop. Il laboratorio, come entità viva, è stato il fulcro di tutte queste attività, ma se c’è una direzione specifica che sembra sostenere alla base il progetto è la dimensione “urbana”. Questo si intravede nelle varie sezioni, che a loro volta sono in rapporto con una serie di altre discipline , ad esempio geografia, zoologia, biochimica, botanica e altre. Tale vocazione – tuttavia – è particolarmente evidente nel “Mapping the Urban Grind Mill”, un progetto di Alexandra Regan Toland che analizza il terreno circostante il laboratorio e rende il pubblico consapevole di come esso contribuisca alla sua costituzione attraverso la sporcizia “portata” sotto le scarpe. Questo si collega all’etica preferita da Denisa Kera nel suo testo, praticando quello che lei definisce “l’arte del suolo” e l’istigazione alla creazione di fondamentali “beni comuni bio” attraverso pratiche open source e DIY. L’approccio di Kera sembra particolarmente interessante ma è solo una delle tante traiettorie differenti esplorate nell’ambizioso progetto.
Chris Salter – Alien Agency, Experimental Encounters with Art in the Making | Neural
[Letto su Neural.it]
Chris Salter (intervistato sul numero 50 di Neural) è un ricercatore e artista unico nel suo genere. Il suo lavoro artistico si concentra e sfida la percezione umana in molte e differenti maniere critiche, mentre nella sua ricerca teorica usa la propria sensibilità per indagare costruttivamente sul lavoro di altri colleghi. Questo libro è il risultato straordinario di entrambe tali doti combinate, con un obiettivo comune: comprendere i processi artistici “mentre stanno accadendo”. Inoltre, avendo a che fare con arte e scienza, che si preoccupano di dimostrare come questo processo possa cambiare profondamente la realtà da noi percepita una volta che apriamo radicalmente la nostra mente a ciò che sembra innescato da un agente non umano (da batteri, reazioni sensoriali non sperimentate, onde vibranti immateriali o altro). In questi puntuali territori post-human (o post-digital, o qualunque cosa essi siano) c’è un “estraneità” distinguibile che diventa l’essenza della sua analisi, supportata da ricerche sul campo compiute durante lo sviluppo (in collaborazione e talvolta avventurose) di tre delle sue più ambiziose opere. Con spirito rinascimentale d’inchiesta, Salter analizza questa “estraneità” attraverso la pratica artistica e i suoi effetti – come egli sostiene – nel “trasformare il mondo” favorendo dinamiche performative. Un altra importante conseguenza di questa “estraneità” è quella d’istigare un cambiamento dinamico e radicale nei consueti contesti teorici che sono basati sulla pratica di produzione di opere d’arte contemporanea. Dopo il suo seminale libro, “Entangled”, in questa sua ultima fatica Chris Salter sostiene lo sviluppo dell’arte come esperimento scientifico, intuizione che dovrebbe diventare una idea fondamentale da prendere in considerazione per le future generazioni di artisti.
Range biologico
Presento le derive organiche come estensioni del mio continuum: esse sono i paletti entro cui preparare l’escursione.
Così dissero gli ingegneri genetici
Che l’intercalare vocale si confonda con le espressioni interiori, e dia vita a una maschera esplicativa ed empatica del tutto unica. Che tutto sia un inizio prigoginico per questa razza vivente.
Algae Opera – Nurturing Algae With Soprano’s Voice – Neural.it
[Letto su Neural.it]
Algae Opera è un progetto artistico frutto della collaborazione tra il mezzosoprano Louise Ashcroft, il compositore Gameshow Outpatient e l’attore Samuel Lewis. La performance utilizza un approccio narrativo per collegare a doppio filo il senso dell’udito ed il gusto, utilizzando come medium specifiche tipologie di alghe. Durante l’happening, l’anidride carbonica prodotta dal respiro della cantante viene convogliata verso le colonie di organismi e siccome l’anidride carbonica è il principale alimento e sostanza nutritiva per questi, la regolazione delle emissioni avviene attraverso tecniche di canto molteplici, al fine di creare tassi di crescita differenti. Le concentrazioni di gas influiscono anche sul sapore delle alghe se queste sono utilizzate come cibo. Sembra esserci un rapporto diretto – infatti – tra il tono della voce e la dolcezza delle alghe. La performance ha un forte impatto visivo e la cantante indossa un elaborato abito biotecnologico che ricorda la celeberrima scena della cantante d’opera nel film Il Quinto Elemento. L’auricolare invece è costituito da una configurazione organica di tubi che copre parzialmente il volto e nel complesso fa proprie le forme d’un cefalopode alieno. I tubi fluorescenti trasportano la C02 ad un laboratorio portatile dove l’assistente (l’attore Samuel Lewis) alimenta diversi lotti delle alghe con il gas. È interessante notare che il benessere delle alghe è una conseguenza diretta dei suoni espressi nelle vocalizzazioni della Ashcroft. Come scrive la stessa cantante nel suo blog: “Algae Opera è una delle più grandi sfide vocali che ho affrontato, considerando quanto la voce d’opera sia tradizionalmente costruita per le dimensioni dei teatri e quindi richiede una linea già sostenuta, qui adeguata ai bisogni alimentari della popolazione mondiale. Conseguentemente a questa riprogettazione, la struttura musicale e la pratica performativa della tradizione operistica di oggi compie allora uno scarto, prefigurando nuove possibilità”. La performance si conclude poi con una degustazione delle stesse alghe in maniera tale che il pubblico sia in grado di sperimentare una sorta di sinestesia gustativa.