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Le porte dell’inferno si aprono a Palazzo Diamanti – Carmilla on line
Su CarmillaOnLine un approfondimento di una segnalazione che ho dato pochi giorni fa, relativamente al romanzo Il cuoco dell’inferno, di Andrea Biscaro. Eccone alcuni dettagli:
“Pigliate una bella fetta di storione, tenetelo per circa due ore in una concia composta da vin bianco, sale, pepe, spezie e agro di limone; indi ritiratela da suddetta concia, steccatela con qualche foglia di ramerino […]”
oppure
“Piglia libbre cinque di farina bianca e due pani bianchi grattati, e messedali bene insieme con la farina, e poi habbi l’acqua che boglia, e impasta insieme tre uova e fa la pasta che non sia dura né tenera, e lasciala rafreddare un poco […]”
oppure
Pigliate l’arigusta, legatele la coda, ripiegata sul ventre, e ponetela a cuocere in recipiente adattato, gettandovela quando l’acqua bolle, ed avvertendo che vi rimanga affatto immersa […]
oppure
“A fare dieci piatti di maccheroni alla napoletana: Piglia libbre 8 di fiore di farina, e la mollena d’un pane grosso boffetto mogliato in acqua rosata, e uova fresche quattro, e once 4 di zuccaro; e bene impasta ogni cosa insieme […]”
Le ricette tratte da Banchetti, composizioni di vivande et apparecchio generale — che uscì postumo e fu più volte ristampato fino ai primi decenni del Seicento —, costellano il nuovo thriller di Andrea Biscaro. Ferrarese, classe 1979, attualmente residente all’isola del Giglio, Biscaro è un nome noto della narrativa nazionale. Un bel po’ di romanzi all’attivo tra cui Cromo (La Ponga) pubblicato qualche mese prima di questo, ma anche il noto Nerone. Il fuoco di Roma (Castelvecchi, 2011) e chissà cos’altro, dato che è anche ghostwriter.
L’utilizzo di queste raffinate preparazioni è un gustoso escamotage narrativo per introdurre a una delle corti più fascinose della storia. Gli Estensi ferraresi, in questo caso Ercole I e il fratello Sigismondo, negli anni in cui è ambientato questo thriller, avevano di che banchettare: Messisbugo, responsabile della preparazione dei piatti e autore del libro di cui sopra era il loro pregiatissimo Scalco di corte; Ariosto (ricorre quest’anno il cinquecentenario del suo capolavoro) allietava le ore di nobili e dei notabili; il figlio di Ercole I ovvero Alfonso I d’Este sposò l’ambita Lucrezia Borgia; Biagio Rossetti, l’architetto cresciuto alla bottega di Antonio Brasavola, aveva completato la cosiddetta Addizione Erculea che trasformò Ferrara nella “città ideale”. Pace e prosperità a cavallo tra Quattro e Cinquecento garantivano la potenza di questi sovrani illuminati, che poco avevano da invidiare ai Medici. Tanto fu lo splendore architettonico che l’ammodernamento urbanistico garantì nei secoli alla città — la stessa che ci godiamo oggi per i Buskers, qualche bellissima mostra come quella in corso sulla Ferrara dell’Ariosto, o per l’importante festival annuale di Internazionale — che chi la ritiene la New York dell’epoca non sbaglia: una città all’avanguardia che entusiasma il visitatore anche immaginario, come il lettore de Il cuoco dell’Inferno.
Le grandi personalità del passato “funzionano” egregiamente come personaggi e questa non è un’operazione da poco, soprattutto in un thriller esoterico-gastronomico. Manca alla lista un personaggio (realmente esistito) fondamentale: l’astrologo di corte, Pellegrino Prisciani, che ispirò il ciclo del Salone dei mesi di Palazzo Schifanoia e qui intento a consigliare i Duchi d’Este, ma….
Una notte, mentre gli augusti ospiti della corte finiscono gli ultimi manicaretti, un ambiguo duo bussa alle porte del palazzo estense. Se la porta degli Angeli si schiude per questi messaggeri male in arnese è perché questi portano come credenziale la parentela stretta con Messisbugo, lo Scalco di corte che è anche il protagonista della nostra storia.
Il fratello del cuoco sostiene di essere un sensitivo, che tramite i suoi poteri ha scoperto che una gemma inserita dal Prisciani in una delle bugne del neonato Palazzo Diamanti (pensate a che emozione dovesse suscitare questa meraviglia architettonica ai visitatori dell’epoca) è stata inserita male: al posto di una funzione benaugurale, questo diamante sarebbe stato capace di aprire nientemeno che le porte dell’inferno. Ma anche se ai tempi queste cose venivano tenute in gran conto, il Frate (ovvero il sensitivo di cui prima) non viene creduto, benché in buona fede. Le porte dell’inferno dunque non tardano a schiudersi.
E qui inizia la parte più piacevole di questo gioiellino narrativo: la descrizione del corredo demoniaco che dalla potenza del diamante e dell’omonimo Palazzo si sprigiona. Per non guastarvi la suspence non vi sveliamo chi l’ha messo lì, la motivazione e come il diamante abbia funzionato come innesco apocalittico.
Il cuoco dell’Inferno | HorrorMagazine
Su HorrorMagazine la segnalazione de Il cuoco dell’Inferno, di Andrea Biscaro. Parliamo di un romanzo storico assai particolare, ambientato a Ferrara a cavallo tra il ‘400 e il ‘500. Un estratto dalla segnalazione:
A cavallo tra ‘400 e ‘500 Ferrara era una città straordinaria, paragonabile alla New York di oggi per importanza politica, artistica e architettonica. Ludovico Ariosto era poeta di corte (il suo capolavoro quest’anno festeggia i cinquecento anni), la bella Lucrezia Borgia nel 1502 sposò in terze nozze Alfonso I D’Este e l’Addizione Erculea aveva trasformato Ferrara nella città ideale, perfezionando l’urbanistica con maestria e razionalità. Ne fu responsabile l’allievo di Brasavola Biagio Rossetti che tra l’altro concepì e fece costruire Palazzo Diamanti. La più importante corte d’Europa non poteva che richiedere l’eccellenza in cucina. Se ne occupava lo Scalco di corte: Cristoforo da Messisbugo, ovvero uno dei protagonisti di questo romanzo e “master chef” realmente esistito, autore del “cook book” Banchetti, composizioni di vivande et apparecchio generale costantemente ristampato fino alla fine del Seicento. Altro punto di forza della città Medievale era l’astrologia, “scienza” che si teneva in gran conto e a cui si attribuivano capacità propiziatorie e di preveggenza. Quali personaggi e ambientazione più accattivanti per un thriller “esoterico” che tiene incollati fino all’ultima pagina? Così, Andrea Biscaro immagina che all’interno delle note bugne di Palazzo Diamanti sia stato inserito un grosso diamante, al fine di catalizzare forze benigne sulla città. Mani malvagie hanno tuttavia spostato la pietra preziosa, aprendo un varco per…l’Inferno stesso! L’artefice della scoperta di questo spostamento è un ambiguo frate, fratello dello Scalco e potente sensitivo. La corte del Duca d’Este (Ercole), che non teme pericoli ben più concreti, sottovaluta gli avvertimenti e espone la città alla strana apocalissi. Lo schiudersi delle porte dell’Inferno è un vero capolavoro di immaginazione: c’è chi, come Ludovico Ariosto, si ritrova in un remoto passato, in cui la regione era tutta acquitrini e invece che camminare verso Palazzo Diamanti si perde in una nebbiosa palude insieme a un demoniaco traghettatore, parente di quello cantato dal suo noto“collega” di Fiesole. Lucrezia Borgia, invece, si ritrova nel peggiore dei futuri: nella Ferrara in mano ai nazisti, di fronte ai quali conserva la dignità nobiliare, anche se scossa da profondissimo terrore. All’architetto Rossetti tocca invece una trappola da contrappasso: girare in tondo in un labirinto senza uscita, un labirinto architettonicamente perfetto. E cosa dire dell’aiuto di Messisbugo, il cuoco Mastro Zafferano, divorato “per colpa del karma” da un cinghiale antropomorfo… La storia è perfettamente bilanciata tra ricostruzione storica impeccabile ed esigenze di una trama scattante. Le ricette riportate non solo descrivono bene l’inventiva culinaria dell’epoca, ma sono anche facilmente riproducibili. A meno che non si tema, con queste preparazioni, il rischio dello scatenarsi dell’Inferno…
Il ritorno di Ludovico Ariosto e dell’Orlando Furioso a Ferrara | FantasyMagazine.it
Su FantasyMagazine la segnalazione di un bellissimo progetto dell’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara che, insieme al Comune di Ferrara, si sta impegnando per ridare letteralmente corpo ai contenuti dell’Orlando furioso. Ecco i dettagli:
Ludovico Ariosto e Ferrara sono intrecciati oltre i limiti del tempo, oltre i cinque secoli dall’editio princeps dell’Orlando furioso. L’Istituto di Storia Contemporanea e il Comune di Ferrara, per farne risaltare il valore nell’immaginario collettivo, stanno lavorando Per conto di Ariosto. Questo il titolo del progetto di comunicazione che hanno sviluppato i giornalisti Matteo Bianchi e Irene Lodi, dando letteralmente corpo ai contenuti del poema cavalleresco. Il progetto, che ha già ottenuto il patrocinio del Comitato nazionale incaricato dal Mibact, ha un protagonista in carne e ossa. Il cantautore Matteo Pedrini, infatti, si è vestito dei panni ariosteschi sia per il vissuto personale sia per la straordinaria somiglianza; tanto che la grafica del progetto, disegnata da Silvia Franzoni, gioca tra la sua fisionomia e il ritratto di Tiziano del 1515, oggi al Museum of Art di Indianapolis.
Gli incontri sulla piazza e nei luoghi dell’aureo passato estense raggiungeranno l’apice il prossimo 4 maggio 2016, nella Biblioteca Comunale Ariostea, dov’è conservata l’effigie in marmo dell’alloro cortigiano. Alle 17.30 di mercoledì pomeriggio, andrà in scena la presentazione ufficiale del Furioso, come se il capolavoro in versi fosse uscito oggi per la prima volta. A dialogare con l’autore, personificato nuovamente da Pedrini, sarà il poeta e performer Lello Voce, dando voce a un confronto estemporaneo che metterà in relazione passato e presente grazie agli argomenti di una modernità sorprendente. Al di là delle difficoltà che incontrerebbe adesso un emergente, specie dovendosi rapportare con i media e il pulviscolo editoriale che si occupa di poesia, si parlerà di valorizzare la femminilità oltre le apparenze, l’uguaglianza di qualsiasi coppia di fronte a sentimenti autentici, o della paura nei confronti dell’altro sconosciuto, suscitata dai pregiudizi. Paura che va curata attraverso empatia e integrazione. L’appuntamento – fuori da ogni schema – supererà i confini spazio-temporali per consentire un confronto tra intervistato e intervistatore, facendo sì che Ariosto in persona possa rispondere alle domande più attuali.