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Archivio per Marla Hlady

Marla Hlady & Christof Migone – Swan Song | Neural


[Letto su Neural]

C’è tutto un filone di field recording che non sono affatto “trovate”, frutto cioè di derive psicogeografiche e di quello che succede lungo queste ricognizioni, ma al contrario sono accuratamente preparate e hanno come oggetto luoghi e situazioni molto ben definite. Marla Hlady e Christof Migone durante una residenza artistica di tre mesi nell’estate del 2019 a Glenfiddich (Dufftown, Scozia) hanno scelto di registrare i suoni di una distilleria di whisky, iniziando da due grossi alambicchi in rame che erano stati rimossi dopo aver adempito per ben dodici anni al loro compito. L’operazione di sostituzione degli alambicchi non è stata delle più semplici, date le dimensioni decisamente importanti dei due recipienti, che hanno richiesto l’utilizzo di una gru che dal tetto li estraesse e permettesse lo svolgersi di tutte le necessarie operazioni. Le porzioni a collo di cigno dei vecchi alambicchi sono state poi tagliate da un mastro ramaio e utilizzate come parte principale di una scultura sonora cinetica. Quando ci si sposta negli spazi adiacenti la scultura, i sensori attivano una serie di meccanismi elettronici che fanno ruotare sottili aste di metallo su assi circolari. Attraverso questi due componenti a collo di cigno sono state anche riprodotte le registrazioni effettuate in tutta la distilleria: l’acqua che scorre attraverso tumuli, le emissioni sonore scaturite dalle botti durante normali sessioni di lavoro, i rumori di imbottigliamento e quelli dei liquidi che vengono spostati da una parte all’altra dei magazzini. Le due estremità dei tubi agiscono come una coppia di giganteschi grammofoni che amplificano ognuna delle registrazioni effettuate. Alcune di queste registrazioni sono anche sovrapposte e mischiate, così come particolarmente importanti sono le sonorità ottenute da un coro composto dal personale della distilleria, voci poi raggruppate in base agli anni di servizio di ciascuno dei partecipanti. A ogni membro di questo coro improvvisato è stato chiesto di produrre due suoni, uno il più alto possibile e l’altro estremamente basso, mantenendo l’emissione vocale il più a lungo possibile. L’effetto complessivo è davvero imponente e l’indecifrabilità ultima dei suoni ci fa riflettere sul lavoro e sui materiali che si uniscono in modi spesso sorprendenti e imperscrutabili, distillati acusticamente con gran cura, competenza e passione. Da questo ingegnoso progetto sono stati tratti tutti i materiali, sonori e fisici, per una installazione alla Christie Contemporary di Toronto.

Marla Hlady & Eric Chenaux – Fluff | Neural


[Letto su Neural]

Con Fluff, album licenziato da Avatar Quebec, si concretizza l’ennesima proficua collaborazione fra l’artista multimediale Marla Hlady e il chitarrista, cantante e compositore Eric Chenaux, un duo che s’ingegna in sperimentazioni che definiscono field-performance-recording. Sia chiaro che l’idea di improvvisare su field recording non è del tutto nuova. Non è “senza precedenti”, così come lo stesso confine fra quello che chiamiamo musica e quello che chiamiamo sound art non è più, oramai, qualcosa di netto e facilmente definibile. L’album è il risultato di una residenza ad Avatar nel giugno 2017, durante la quale i due hanno esplorato le proprietà acustiche e poetiche di luoghi specifici, come una palestra o un rifugio nella foresta, ricavandone sonorità molto sibilanti e ricche di fruscii. A codeste trame s’aggiunge come un subtesto decisamente più improvvisativo e free form, ricco di micro-percussioni e rarefatti intermezzi di strumenti a corda (ad esempio in “Refuge Du Domaine De Gaspé 1”). Non basta, sono organizzate anche molto ipnotiche sequenze, stralunate, noisy e ruvide, ma ancora dalle cadenze strutturali piuttosto ripetitive (in una successiva versione del pezzo nello stesso spazio). “Patro Roc – Amadour” parte invece in maniera abbastanza musicale, quasi come un ensemble che cerchi una sintonia dei vari strumenti prima dell’esecuzione d’un brano, continuando in dilatatissime arie d’obliquo post-rock. L’idea che ci arriva è che Marla Hlady – che attualmente è Professore Associato presso il Dipartimento di Arte, Cultura e Media dell’Università di Toronto – sia a suo agio con quelle che potremmo definire poetiche d’estetizzazione del quotidiano mentre Éric Chenaux – che vanta più di 25 anni di carriera come musicista, un’infinità di collaborazioni e cinque album solisti sull’etichetta Constellation – mette a frutto una sua particolare tecnica, molto laconica e visionaria, fatta d’un lento ed essenziale elenco d’opzioni audibili. I luoghi dove sono state operate le registrazioni sono stati scelti questa volta senza particolare enfasi sulle caratteristiche simboliche degli spazi, considerando perlopiù solo le loro proprietà acustiche specifiche: riverbero, eco e rumore di ritorno. Questo implica comunque un affinamento della propria percezione e una sintonia altra, ponendo l’attenzione anche allo scopo di cogliere le peculiarità di ambienti d’uso comune. Ogni superficie di fatto riflette qualsiasi emissione auditiva: spostando e restituendoci impressioni differenti dei suoni i due artisti ci costringono in questo caso ad una fruizione differente e non ordinaria.

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