Un gran bell’articolo su Gustav Meyrink, sulla sua opera e sulla sua vita. Da AxisMundi; un estratto significativo:
«Domani saranno trascorsi per me ventiquattr’anni da quel giorno dell’Ascensione quando, seduto alla scrivania della mia cameretta di ragazzo, a Praga, e, messa nel cassetto la lettera d’addio che avevo scritto a mia madre, afferrai il revolver che avevo davanti; avevo infatti deciso di intraprendere il viaggio oltre lo Stige; volevo gettar via un’esistenza che mi sembrava destinata a rimanere in futuro scialba, senza valore e senza gioia.»
Il giovane uomo col revolver in mano, pronto a lasciare per sempre questa “amara valle di lacrime” è un anonimo e benestante banchiere austriaco con l’hobby delle donne, degli scacchi e del canottaggio. Nauseato dalla sua piatta e insignificante esistenza, si appresta a compiere l’estremo gesto. Cosa lo ferma all’improvviso? Uno stampato fatto scivolare improvvisamente sotto la porta della sua camera. Il giovane ripone la pistola, si alza dalla sedia, prese in mano il foglio e ne sbircia il titolo: “Sulla vita dopo la morte”.
Leggendo più volte il ciclostilato, il giovane trascorre la notte in uno stato di veglia adrenalinica (la lunga notte dell’anima), «mentre dei pensieri, sino a quel momento estranei, cominciarono a passar[gli] per la mente… pres[e] il revolver come si fa con un oggetto divenuto momentaneamente inutilizzabile e lo chius[e] in un cassetto». «Lo conservo ancora oggi. — conclude l’autore di questa confessione — È morto per la ruggine ed il tamburo non gira più; non girerà mai più».
«Tengo di più alle mie teorie, che sono pratica e vita, che non alle mie creazioni artistiche, che ne sono simbolo e veste.»
Ne consegue che, nell’esercizio artistico del romanziere austriaco, il “fantastico” sia, in ultima analisi, soltanto «la veste estetica di una realtà nascosta e difficilmente conoscibile dai profani»
Gustav Meyrink abbandona questo mondo la sera del 4 dicembre 1932. Dopo aver salutato i familiari, si ritira nella propria camera e si siede, a torso nudo nonostante il gelo, sulla poltrona dirimpetto alla finestra. Rimane così tutta la notte, contemplando il cielo stellato, l’alba e il sole nascente; quindi, ancora con lo sguardo in adorazione, spira serenamente. La moglie Mena definisce l’esperienza del trapasso del marito «una messa solenne di religione e nobiltà» e racconta, in una missiva raccolta in questa edizione Arktos:
«I suoi occhi divennero sempre più splendenti e alle sei e trenta del mattino di domenica 4 dicembre esalò l’ultimo respiro. C’era in noi una gioia sgomenta nel vedere come il suo grande Spirito si era distaccato armonicamente. È rimasto il suo corpo, come una larva: la farfalla si è librata verso l’alto.»
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