HyperHouse
NeXT Hyper ObscureArchivio per settembre 18, 2018
Lasciati andare furente
Respingi i segnali catturati nelle tue camere craniali, restituiscili al collasso strutturale che è intorno a te. Lasciati andare a esso furente…
Jemh Circs – (untitled) Kingdom | Neural
[Letto su Neural]
Nuova uscita per Marc Richte – noto anche come Jemh Circs ma meglio conosciuto come Black To Comm – che pubblica questo suo secondo album sempre ad Amburgo, sull’etichetta di casa, la Cellule 75. Sono ben ventiquattro le tracce stavolta – una sola supera i quattro minuti – e l’effetto sembra essere quello d’un collage sensibilissimo, a tratti anche aspro, ricco di frammenti auditivi, scorie e memorie accumulatesi nel tempo. Richte tiene a sottolineare quanto il risultato delle manipolazioni sia frutto d’un rimestio tutto digitale, fatto di decostruzioni e campionamenti – seppure ad un primo ascolto poco trapeli di questa progettualità – che ha origine in sequenze alquanto banali di pop contemporaneo, fonti “catturate” da YouTube o da altre piattaforme commerciali di diffusione e promozione musicale. La sensazione è che i contenuti “plagiaristi” dell’opera siano stati molto limati, a evitare che scansioni e raccordi siano riconoscibili. Non è quel tipo d’approccio, insomma, nel quale è manifesta l’arte dell’inglobare elementi atti a irretire l’ascoltatore e a stimolarne le capacità di analisi e riconoscimento delle citazioni. Più che al post-punk o all’energia space-primitivista delle seminali stagioni cyber a noi sono venuti in mente per assonanza i cadavre exquis del surrealismo, qui nelle forme di casuali parti auditive, manipolate e poi disposte ad arte grazie ad un lavoro di editing piuttosto certosino, utilizzando anche pattern meno sintetici e field recording. Alle sequenze opportunamente stirate o liquide sono spesso sovrapposte ritmiche fratturate e innesti quali sciabolate, riverberi, echi, effetti d’ogni specie e intensità. Nella confusione opportunamente modulata si combinano ad arte suggestioni e suoni differenti, che solo grazie a un lavoro d’artigianato digitale – e certo non per magia – riescono a rendere il senso d’un lavoro coerente seppure risolto in forme di differente natura e provenienza. Jemh Circs è assai abile nel fondere in un tutt’uno concetti, sonorità e atmosfere, anche se allo scopo è costretto a spezzettare la narrazione in più quadri, a volte anche divergenti come impostazione ma che assieme riflettono costanza compositiva, un gusto personale non comune e il controllo anche di costrutti non consueti, solo apparentemente spiazzanti. Sono tanti piccoli pezzi, che qualcuno definirebbe inutili, quelli che lo sperimentatore tedesco mette assieme, perdendosi volutamente nelle illimitate possibilità combinatorie ma anche operando coinvolgenti alchimie ritmiche e armoniche di grande qualità e spessore musicale.
IL CANONE DI BOLAÑO. Spirito e corpo della fantascienza – Carmilla on line
Su CarmillaOnLine la recensione a Lo spirito della fantascienza, di Roberto Bolaño, in uscita per Adelphi, notizia di per sé fantastica, nel senso che la casa editrice di sovente non fa uscire titoli legati al genere SF. Un estratto della rece:
La fantascienza di questo romanzo, in effetti, non è fantascienza (se non indirettamente, come riflesso di un riflesso: il riflesso dei racconti di fantascienza scritti da uno Jan ragazzino e che il suo professore di letteratura, “un uomo in buona fede, innamorato selvaggiamente di Scott Fitzgerald e in modo più tranquillo della Repubblica delle Lettere”, liquida con un’alzata di spalle, esclamando mestamente: “Caro Jan, spero che tu non stia fumando”), ma ciò che il titolo puntualizza: ancora una volta, lo spirito della fantascienza, il senso di una realtà fluida, soggetta a cambiamenti, pervasa da un dinamismo che mette in relazione le leggi della fisica con i moti della psiche umana. Il tutto innervato da una scrittura elettrica che alterna quadri narrativi tradizionali (dal punto di vista dell’amico e coinquilino di Jan, Remo, nell’appartamento che condividono a Città del Messico) a inserti dialogici, interviste, funambolismi visionari il cui riferimento concettuale è proprio quello del grande serbatoio fantastico-fantascientifico novecentesco. Fin dalle prime pagine: nei topi che Jan sente brulicare sopra o dentro il tetto della stanza in cui vive (“Allora […] disse che il soffitto della nostra stanza era infestato di topi mutanti, non li senti?, sussurrò con la mia mano sulla fronte e io gli dissi sì, è la prima volta che sento dei topi squittire sul soffitto di una stanza sul tetto a terrazza all’ottavo piano. Ah, disse Jan”) echeggia il Lovecraft dei Ratti nel muro, con un’ironia che smorza gli eccessi metafisici dello scrittore americano e al contempo ricostruisce l’orrore in dimensioni molto più accessibili e concrete, presenza tangibile nella realtà di bohémiens emarginati che vivono l’esperienza quotidiana come enigma insensato e straniante, su cui aleggia l’ombra di minacce tutt’altro che soprannaturali (il professore che disprezza la fantascienza finisce spazzato via mentre è intento a una passeggiata “alla luce di luna durante il coprifuoco”, nel Cile di Pinochet).