Le cospirazioni distorcono il senso di entropia idealizzando un’epoca, mostrandola pregna di una nostalgia di qualcosa perso, di un senso elevato che non c’è più.
In principio c’è stata l’idea di un’ installazione sonora interattiva, The Body Imitates the Landscape, opera che è stata sviluppata dall’artista Adi Hollander organizzando un complesso di elementi che simulativi degli impianti strutturali ed estetici tipici dei parchi giochi fossero in grado di trasformare la musica in vibrazioni percepibili in tutto il corpo. L’ispirazione veniva da Karada, un libro del 2011, nel quale Michitaro Tada esplorava “il corpo” nelle sue varie implicazioni culturali, fra memoria, scienza, espressione e vita quotidiana. Il concetto alla base della messa a punto dell’installazione è stato quello d’innestare l’esperienza testuale della lettura del libro attivando un coinvolgimento maggiormente sensoriale. Fondamentale, a tal proposito, al fine di rendere attivo uno spazio per il pubblico composto da diciassette oggetti di diverse forme, con letti ad acqua, 60 panche di legno e 180 altoparlanti per trasduttori incorporati, è stata la collaborazione con il compositore Claudio F. Baroni e l’ensemble Maze. Nell’area attrezzata gli spettatori-performer espandono di fatto le loro possibilità uditive, utilizzando diverse parti del corpo e sperimentando una relazione intima con gli oggetti, un coinvolgimento abbastanza simile a quello tra due persone che condividono un segreto. La parte più specificatamente auditiva si fonda su una voce sussurrante e diradatissime sequenze musicali di stampo elettroacustico e improvvisativo. Insomma, quello che noi sentiamo in questo CD pubblicato da Unsounds, etichetta non a caso votata proprio alla sound art, alla composizione contemporanea e alla sperimentazione free form, è solo una parte di tutto l’impianto previsto dagli autori. Le undici composizioni presentate mantengono tuttavia una loro coerenza autonoma ed è messa una certa attenzione nello sviluppare armonie nascoste che esistono nel linguaggio normale, una sorta di “discorso senza voce” supportato dagli strumenti musicali – il flauto alto di Anne La Berge, il vibrafono di Enric Monfort e le tastiere di Reinier van Houdt, per citarne solo alcuni – e dove anche la sceneggiatura è basata sul testo di Tada. L’effetto complessivo è sicuramente raffinato e riflette della relazione intima tra pubblico, suoni ed oggetti in maniera sommessa e intrigante, un po’ misterica e differentemente affabulatoria.
La nostalgia dell’esotico mi prende e mi devasta l’anima, come se avessi ancora un legame perso in qualche evo antico, nelle pieghe di una duna sabbiosa dove struggere il mio rimpianto.
Inesplicabile, poi avvolgente, infine candido da gusto retrò. Il sapore di una panoramica sui generi umani appare come il più gustoso dei pungoli per anelare l’infinito di una condizione disincarnata; eppure, rimane un po’ di nostalgia per tutte le situazioni incarnate, e sembra di aver abbandonato qualcosa…
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"Scrivete quel che volete scrivere, questo è ciò che conta; e se conti per secoli o per ore, nessuno può dirlo." Faccio mio l'insegnamento di Virginia Woolf rifugiandomi in una "stanza", un posto intimo dove dar libero sfogo - attraverso la scrittura - alle mie suggestioni culturali, riflessioni e libere associazioni.