A integrazione del post di addio a Ken Russell di ieri, mi pare giusto inserire il necrologio di oggi di Fantascienza.com, così completo ed evocativo, anche poetico, da non aver bisogno di nessuna modifica. Ecco qui sotto i passi significativi, quasi integrali:
Se n’è andato sognando, e forse non poteva esserci per lui fine più appropriata. Ken Russell è morto in un’ospedale inglese nella notte tra domenica e lunedì, dopo una serie di attacchi di cuore, all’età di ottantaquattro anni. E’ stato il figlio maggiore, Alex Verney-Elliot, a dare la notizia: “E’ morto in pace, con un sorriso sul volto.” Aveva mostrato la sua versatilità nel manovrare la macchina da presa, versatilità confermata nel corso degli anni passando dai drammi sentimentali come l’ottimo Donne in amore al leggendario musical rock Tommy, che lo consacrò alla fama mondiale. Ma gli appassionati di fantascienza lo ricordano per Stati di allucinazione, controversa e visionaria storia in cui uno scienziato (l’allora esordiente William Hurt) cerca, attraverso la stimolazione dell’inconscio, di risalire la memoria collettiva di razza lungo tutti i gradini dell’evoluzione, per arrivare fino al primo nucleo vivente di materia presente alla nascita dell’universo.
Quel film del 1980, profondo e visionario, vinse un Oscar per la colonna sonora, mentre a Russell andò la nomination ai Saturn Award. Da lì in poi alternò prove buone (L’ultima Salomé, Whore — puttana) ad altre meno convincenti. Dopo il flop del suo ultimo film, Oltre la mente, del 1995, Russell si ritirò dalla scena ufficiale, dedicandosi alla scrittura e alla fotografia, e limitandosi a qualche collaborazione come quella, del 2006, in Brothers of the Head, mockumentary tratto da un racconto fantascientifico di Brian Aldiss. O addirittura comparendo con un cameo in Lost in La Mancha, cronaca dello sfortunato mancato film su Don Chisciotte di Terry Gilliam. Discusso, controverso, visionario, eclettico, anarchico, eccessivo, barocco: tutti aggettivi che provano a definire un regista che ha sempre fatto di tutto per non rientrare in qualunque schema, spiazzando pubblico e critica con film in cui provava a inseguire e decriptare le sue personalissime ossessioni, attraverso un aspetto visivo ricercato e di grande impatto. Insomma, un regista che ha fatto del cinema un modo per portare in superficie gli aspetti più oscuri dell’umanità, quelli più illogici e irrazionali, che vivono nella dimensione del sogno.
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Ricordo bene “Altered states”, impressionante.
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