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La fine di un mondo. Ultimi tentativi di restaurazione pagana a Roma


Da LamisuraDelleCose un articolo sui residui pagani che tentarono d’invertire il corso storico che vedeva l’affermazione del cristianesimo, nel corso del periodo TardoAntico dell’Impero Romano. Un estratto:

Dai tempi della battaglia di Azio (31 a.C.), la curia del Senato romano ospitava la statua della Vittoria e un altare su cui ogni senatore, entrando, gettava granelli d’incenso. Segno visibile della protezione accordata dagli dei all’impero di Roma, tendendo le palme verso l’ara della Vittoria, all’inizio di ogni anno, i senatori rinnovavano il loro patto di fedeltà al principe. Con la cristianizzazione dei vertici imperiali, anche i simboli della religione tradizionale iniziano a correre seri pericoli: nel 357 Costanzo II, in occasione del suo primo viaggio nell’Urbe (la sede dell’imperatore era stata spostata a Milano), dà ordine di rimuovere l’altare, poi ripristinato dopo la sua partenza. Attorno a questo antico monumento, voluto da Augusto e assurto a simbolo della passata grandezza, nel 384 si svolge l’ultima battaglia ideale del paganesimo: a soli settant’anni dal cosiddetto editto di Milano, vale a dire dalla sanzione della libertà di culto per tutti, l’impero cristiano riduce drasticamente gli spazi per i culti pagani che di lì a breve, con Teodosio, saranno definitivamente proibiti.

In un periodo caratterizzato dal fenomeno sempre crescente del proselitismo cristiano e dalla sua forza destabilizzante, il breve regno di Giuliano l’Apostata (361-363, detto così per aver abiurato la fede cristiana) segna il momento più alto dei tentativi di rivincita della cultura tradizionale. All’educazione dei maestri cristiani, impostagli dal cugino Costanzo II, il giovane Giuliano preferisce la cultura tradizionale coltivando le sue letture dei maestri della filosofia greca.  Obiettivo dell’imperatore Giuliano è quello di restaurare la tradizione religiosa classica con l’esplicita intenzione di promuovere il recupero dei valori del passato, rivisitati attraverso la sua adesione al neoplatonismo e la sua simpatia verso forme di religiosità “misticheggianti”. In concreto, il suo programma prevedeva l’abolizione dei privilegi concessi alla chiesa, stanziamenti per la ricostruzione o il restauro dei templi pagani e la proibizione, mediante specifico editto del 362, ai cristiani di svolgere attività di insegnamento.

Questo provvedimento rispondeva alla necessità di garantire alle nuove generazioni, destinate a ricoprire ruoli di funzionari dello stato, una formazione e delle conoscenze che tenessero conto degli insegnamenti del passato. Tuttavia, le misure più restrittive volute dall’imperatore-filosofo non sono condivise da coloro, tra i pagani, che puntavano a soluzioni più diplomatiche e persuasive. Uno tra questi, pur essendo sincero ammiratore di Giuliano e condividendone il programma di restaurazione culturale e religiosa, è lo storico Ammiano Marcellino (330-400 ca.); greco di Antiochia, legato alla cultura e alla religione tradizionali, ha redatto l’ultima grande storia di Roma imperiale, le Rerum gestarum, di cui rimangono gli ultimi 18 libri che narrano le vicende contemporanee all’autore.
Nelle intenzioni del principe, il ritorno al paganesimo non doveva limitarsi a un recupero puramente esteriore, ma configurarsi come un movimento religioso in grado di dare risposte soddisfacenti alle esigenze individuali, sullo stesso piano del cristianesimo e in alternativa ad esso. La morte prematura di Giuliano durante una campagna contro i Parti pone termine al disegno restauratore, riconsegnando l’impero in mani cristiane.

Tutto il IV secolo e buona parte del V sono attraversati dal conflitto per l’egemonia culturale tra la nuova religione, che vuole garantirsi l’universalità, e le resistenze dell’intellettualità pagana, fino all’eliminazione degli elementi irriducibili, che non potevano essere mutuati.
Nel 376 l’imperatore Graziano incontra a Roma papa Damaso ed è la fine della politica di tolleranza nei confronti dei pagani. Con la rinuncia dell’imperatore al titolo di pontifex maximus, conservato fino ad allora in omaggio alla tradizione, l’apparato statale ripudia formalmente le antiche tradizioni. Nel 382 Graziano emana nuovi provvedimenti antipagani tra cui la rimozione dell’altare della Vittoria, la confisca dei beni dei templi e la cessazione dei contributi di stato ai culti tradizionali.
Nel 392 Teodosio, filocristiano intransigente, emana l’editto di Costantinopoli con cui si vieta tassativamente ogni forma di culto pagano, vincendo anche militarmente i suoi avversari: dopo la vittoria di Teodosio sul fiume Frigido, presso Gorizia, nel 395, i culti sono proibiti definitivamente. Sotto le insegne dell’aristocrazia tradizionalista accorrono solo in minima parte le masse rurali, gli abitanti dei pagi legati al culto del passato, estranee se non ostili all’élite imperiale. Sono, per Roma e per l’Italia, anni cupi e incerti, sotto la costante minaccia delle pressioni che le popolazioni barbariche esercitavano ai confini.

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