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NeXT Hyper ObscureArchivio per Maggio 1, 2019
Pink Floyd – A Saucerful Of Secrets (1971-06-26) 24/96
Una versio lunghissima, stravolgente, acida e lirica di A saucerful of secrets, i Floyd in gran spolvero sperimentale e creatività, come spessissimo gli accadeva. Altro che gli artisti pop da strapazzo…
Studio [2]: Daniele Cascone + Adriano Savà | Daniele Cascone
Daniele Cascone fa il punto sulle sue iniziative attuali, una Personale che si svolge a Ragusa e da cui estrae alcune foto, e anche una sua intervista su BallonProject:
Chi è Daniele Cascone? Presentati brevemente
Una persona con difficoltà a descriversi. Potrei definirmi un individuo ossessionato dal produrre immagini. Alcuni mi identificano come “fotografo”, altri come “artista”. Accolgo entrambe le definizioni, così come accetto che possano non appartenermi.
La tua opera è ricca di simboli e dal carattere fortemente onirico. Sarebbe interessante scavare dentro la tua simbologia, i tuoi materiali, e capire quali modelli scegli. Vorrei conoscere i motivi per cui rappresentare “se stessi” è più stimolante che rappresentare il mondo esterno.
Credo che siano certi argomenti a scegliere me e non viceversa. I miei interessi spaziano in molti campi: arte, musica, cinema, letteratura, storia, viaggi, sport. Mi cimento in prima persona con tante di queste discipline e spesso mi appassiono a cose lontane dal mio punto di vista. Tuttavia non saprei dire perché, tra i tanti temi esplorati, è lo sguardo puntato all’interno a essere rappresentativo del mio lavoro. Suppongo che, banalmente, sia l’esigenza atavica di comunicare un’interiorità dove anche gli altri possano confrontarsi. Il pensiero più forte e appassionante che coltivo è voler decifrare la mia natura.
Vorresti parlarmi dei tuoi video?
Il video mi affascina, è un approccio diverso dalla fotografia e mi aiuta a staccare dal lavoro logorante della sala pose. Tuttavia non mi ritengo un videoartista, è un mezzo che ho esplorato poco e che mi piacerebbe approfondire, al quale non ho dedicato la dovuta concentrazione. I miei cortometraggi sperimentali sono l’espressione di ossessioni visive, da me ritenute più adatte da rappresentare con delle immagini in movimento. Sono idee, a volte accennate, legate a paure, gesti e rituali che mi rimbalzano in mente. Esprimono forse il lato più istintivo, intimo e confuso di me.
Brain Twisting e Reflectiva sono due tuoi progetti paralleli, il primo ormai chiuso, il secondo attivo, quali volontà stanno dietro alla scelta di mantenerne uno e far decadere l’altro?
Sono due progetti che appartengono al passato; Brain Twisting è nato in un periodo in cui il web muoveva i primi passi e si respirava quell’aria “pioneristica” nel divulgare le nuove forme d’arte che si scoprivano grazie alla rete. Era un web magazine indipendente, slegato da ogni logica commerciale, mosso dalla passione mia e dei numerosi collaboratori. Sono stati otto anni intensi e di formazione, ma la mole di lavoro per gestire un progetto del genere non era indifferente. Con l’avvento dei social network, che imponevano una rielaborazione totale del modello e della filosofia di Brain Twisting, ho dovuto scegliere se proseguire ancora o dedicare più tempo alla mia ricerca artistica. Ha vinto la seconda opzione.
Reflectiva è un photoblog nato per svago, una palestra dove ho affinato il mio interesse per la fotografia, pubblicando sperimentazioni e reportage di viaggio. Pur avendo poco a che fare con la mia produzione artistica, è stato importante quando ho deciso di utilizzare la fotografia come mezzo principale per la realizzazione delle mie opere.
La tua mostra personale alla Fototeca Siracusana, presentata da Giuseppe Cicozzetti, è definita una “mostra portfolio”, quali cicli di opere sono presenti per dare la visione più esatta della tua ricerca attuale?
Si tratta di dodici pezzi appartenenti a due serie di lavori: “The lonely peolple”, del 2011, e “The inner room”, del 2016. Nell’arco di quegli anni ho realizzato altri cicli di lavori, tutti accomunati dagli stessi temi, e le due serie esposte rappresentano l’inizio e la fine di quella ricerca. In particolare, la serie più vecchia è stata uno spartiacque nel mio modo di progettare e intendere la fotografia.
Mi rendo conto di come questa mostra chiuda un capitolo della mia vita, che è stato importante, per aprirne uno nuovo, in cui ho la necessità di guardare e pensare a un diverso tipo di fotografia.
Xabier Erkizia – Il Rumore Lontano | Neural
[Letto su Neural]
Non sono poche oramai quelle produzioni nel campo dell’audio-art e della ricerca musicale più colta, nelle quali sono intrecciate fra loro differenti forme artistiche e disciplinari, nella simbiosi di suoni, immagini, narrazioni, teorie e filosofie, offrendo uno sguardo altro rispetto ai rigori delle accademie e rifuggendo la banalità di certa musica contemporanea meno riflessiva e critica. “L’eco che arriva da lontano scioglie sempre l’orecchio”, così sintetizza poeticamente il senso del progetto Xabier Erkizia, al quale si deve questo Il Rumore Lontano, edito dal Dipartimento Formazione e Apprendimento della Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana. L’autore sembra ben consapevole di quanto il contesto di un’opera contemporanea – quello che gira attorno ai suoni: come i pensieri, la cultura, la storia e le emozioni – sia altrettanto importante dei suoni stessi, che possono imprimersi anche come “annebbiati” nell’ascolto, fino poi a diventare più “vicini” e “trasparenti”, incontestabilmente nitidi e seducenti. Non sempre i musicisti di formazione più scolastica – classica ma anche moderna – per loro formazione e atteggiamento riescono a cogliere questa bellezza, faticando non poco nel confrontarsi con differenti codici che non siano quelli delle spesso asfittiche analisi “tecniche” di una composizione. È quello che puntualmente avviene nel caso delle field recordings, un “genere” che nato a partire da necessità scientifiche – in ambito antropologico soprattutto – si è evoluto differentemente, facendosi portatore d’una sensibilità più estetica ed evocatrice di luoghi, percorsi e stati d’animo. Erkizia presenta in quest’uscita un taccuino sonoro di più viaggi in treno, dalla stazione di Locarno a quella di Veracio in Centovallina, poi su treni diversi nei pressi di Bellinzona, Chiasso, Locarno e su alcune funicolari. Queste registrazioni – per dovizia di particolari e qualità delle catture auditive – vibrano sempre elegantissime e a tratti maestose, anche nei momenti d’assenza, nelle stringate interviste o nei consueti annunci ai passeggeri. “Nell’abbraccio offuscato che offre la distanza, il rumore lontano è la musica vicina”, chiosa lo sperimentatore iberico e le sue parole s’imprimono come una sorta di carezza immateriale che ci lascia in uno stato di sospensione e pacificazione. Il progetto – che è stato meticolosamente assortito grazie anche alla supervisione di Lorena Rocca – è accompagnato da un’altrettanto corposa sezione testuale, ampiamente descrittiva dei passaggi-paesaggi e delle molteplici esperienze attraversate.
Dante weird: il pioniere dello “strano” letterario | L’INDISCRETO
Su L’Indiscreto un articolo per definire atomicamente il weird, questa declinazione del Fantastico che affascina e sboccia continuamente in nuovi sottogeneri, in questo presente che sa di eterna fatiscenza tecnologica.
Secondo l’analisi di Mark Fisher in The Weird and the Eerie, uno degli elementi distintivi di ciò che definiamo e percepiamo come weird è la soglia; una barriera che separa due territori, provvista di una porta, che li mette in comunicazione. Talvolta permette agli abitanti di osservare ciò che accade dal lato opposto, come una parete di vetro, e talvolta apre addirittura un ingresso affinché i due mondi entrino fisicamente in contatto. L’essenza del weird, che autori come lo stesso Fisher o Thomas Ligotti recuperano da H. P. Lovecraft, sta in questo: lo scarto tra ciò che dovrebbe essere e ciò che invece è.
Un’immagine familiare – il nostro mondo ribaltato, o il nostro io messo a nudo – che si fa improvvisamente inquietante perché percorsa da interferenze: non sempre così eclatanti da scatenare il panico e l’orrore, ma sufficientemente perturbanti da indurci a credere che attraverso quella porta siano passati anche dei mostri. Mostri che ci spaventano non per il loro aspetto truce, ma perché li riconosciamo come affini a noi.
Le dinamiche tra questi due piani costituiscono un motore narrativo tra i più potenti nella storia della nostra civiltà, dalla letteratura alla psicanalisi fino alla neurologia. Il visibile e l’invisibile, il reale e l’immaginato, l’emerso e il sommerso, il vero e il falso, il concreto e il simbolico. La porta è l’agente che rende possibili tali sconfinamenti e sovrapposizioni, un elemento di tale peso specifico che le narrazioni spesso non si scomodano nemmeno a mascherarlo, e lo adoperano in maniera palese: l’armadio delle Cronache di Narnia, lo specchio di Alice, il portale di Stargate. Uno dei presupposti della letteratura fantastica, del resto, nel senso più lato e nobile del termine, è proprio quello di raccontare altri mondi che ci dicano qualcosa sul nostro.
Non è un caso che la Commedia di Dante risponda in pieno all’identikit di questa allegoria. Le grandi opere sono tali anche perché continuano, col tempo, a dire ciò che hanno da dire, e non solo; in epoche e temperie diverse, comunicano sempre cose nuove. In questo caso, la Commedia ci offre un solido appoggio mentre ci addentriamo nel reame del dubbio seguendo gli sviluppi più recenti della letteratura weird. Autori come Jeff VanderMeer e Antoine Volodine sembrano dare per scontate le premesse della fantascienza distopica (Volodine definisce i suoi libri già come un post-, nel suo caso post-esotismo) e mettono al centro delle vicende l’io disgregato della contemporaneità; una tendenza che si afferma anche nel nostro paese, con contributi corposi e originali, al punto di stimolare discussioni e definizioni. Quella porta che collegava i mondi, ci suggeriscono vecchi e nuovi autori weird, si è forse chiusa per sempre; o al contrario è la barriera a essere crollata. Il senso d’ordine della Commedia, invece, permane attraverso gli orrori dell’Inferno fino ai vertici del Paradiso, insieme a un’imprescindibile idea di finalità sia letteraria che filosofica. Appoggiarci al “Dante weird”, dunque, sarà un utile percorso d’analisi.