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Filologia fantastica. Ipotizzare, Manganelli | FantasyMagazine
Su FantasyMagazine la segnalazione di un saggio di Andrea Cortellessa su Giorgio Manganelli, nel centenario della sua nascita. La quarta di Filologia fantastica. Ipotizzare, Manganelli:
In occasione del centenario di Giorgio Manganelli, uno dei più raffinati e tormentati scrittori del Novecento, il critico Andrea Cortellessa raccoglie in volume tutti i suoi saggi dedicati all’autore.
Esasperava Giorgio Manganelli la solennità “tolemaica” del cento, «numero piuttosto volgaruccio, direi, platealmente, aritmeticamente conformista, visto che noi contiamo per dieci». Ma lo deliziava, di contro, «il tratto buffonesco e ridevole del centenario» (dall’Introduzione al volume), ed ora che inevitabilmente si dovrà commemorare proprio il suo (Giorgio Manganelli nasceva a Milano il 15 novembre 1922), il critico Andrea Cortellessa, uno dei suoi più importanti e attenti esegeti e studiosi, ha raccolto quasi un trentennio di saggi e scritture, nel desiderio di saldare un vero e proprio debito privato con l’autore; Cortellessa lo affronta con una prosa densa e mimetica, attraversando «itinerari marginali», utilizzando «entrate periferiche» e prospettive anamorfiche, forse l’unico metodo di analisi possibile vista la natura polimorfa e polimaterica dell’oggetto della sua ricerca. Procedendo con arbitrarietà e rigore, come postulato dallo stesso Manganelli nel suo Letteratura come menzogna, Cortellessa assembla diciotto saggi “ipotetici” di pura filologia fantastica, “iperipotesi” che attraversano tutto l’opus manganelliano e oltre, tra frammenti inediti tratti dagli Appunti critici e corrispondenze e ricordi di famigliari e amici, in una ridda vorticosa di richiami e rimandi metaletterari.«Oggi è il mio centenario; più esattamente, uno dei miei centenari»: così annunciava alla fine del 1980, proponendo di istituire il rito a rovescio della «scommemorazione»: sicché il 1880, per esempio, andrebbe celebrato quale «42° preanniversario della sua nascita».
difesa berlinese, di carlo bordini: oggi, 4 marzo, a roma | slowforward
Oggi 4 marzo, alla libreria Tomo in via degli Etruschi 4, Roma, alle 19.30 viene presentato Difesa berlinese, ultima fatica di Carlo Bordini che affida ai flutti del suo tempo i ricordi che l’hanno reso ciò che ora è. – Via SlowForward.
La difesa berlinese è un’antica apertura del gioco degli scacchi, elaborata nell’Ottocento e oggi nuovamente in auge, in cui il nero si difende attaccando il centro. Questa difesa gli permette di raggiungere, fin dall’inizio, una posizione di sostanziale parità col bianco.
Questo può prestarsi alla metafora della situazione umana di chi è costretto a lottare in condizioni di inferiorità contro un avversario più forte, e sa di non poter vincere. È una forma di resistenza per continuare a vivere e per non soccombere. I personaggi presenti in questa raccolta sanno, infatti, di non poter vincere. Ma in qualche modo cercano di resistere. La loro, naturalmente, può anche essere una lotta contro se stessi.
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Sono sempre stato un ribelle e anche un timido nello stesso tempo. Dico questo per spiegare perché per me la parola “letteratura” è sempre stata sinonimo di qualcosa di odioso e di disprezzabile. Perché in essa ho sempre sentito la presenza dell’istituzione. Sempre per questo problema di odio e di timore nei confronti del padre mi sono identificato per lungo tempo con un gruppo trotskista ultraminoritario e anche per questa ragione ho avuto, all’interno della vita letteraria, una tendenza all’isolamento e una preferenza spiccata per situazioni piuttosto marginali.
Ho cominciato a scrivere molto giovane, ma non volevo pubblicare. Così come non volevo lavorare e in genere avevo difficoltà nelle situazioni personali. Per me scrivere era l’unico modo per avere un po’ di vita, l’unico modo per respirare.
Ho smesso di scrivere tra i 24 e i 32 anni, quando mi sono identificato con un progetto politico, e quando l’ho lasciato mi sono rimesso a scrivere. Quando ho deciso di pubblicare, nel 1975, non conoscendo nessuno, l’ho fatto con un ciclostilato. La mia scrittura ha suscitato l’interesse di due dei più importanti letterati del tempo (leggi: Fortini e Siciliano). Con la mia incapacità di capire la vita e con la mia negatività assoluta nei confronti delle pubbliche relazioni me li sono giocati in poco tempo. È iniziato così un lungo periodo di apnea e di marginalità. Questa solitudine mi era però necessaria, perché diventare un loro protetto e quindi in qualche modo anche un loro allievo, con l’insicurezza che mi ha sempre caratterizzato, questo l’ho capito dopo, mi avrebbe rovinato, mi avrebbe sostanzialmente condizionato, e mi avrebbe impedito di trovare quella parte di me che sono riuscito a trovare.
Un padre ti condiziona sempre. Soprattutto me, che non sono mai sicuro. Altri magari potrebbero sopportare il peso di un padre. Io no. Per questo, in definitiva, ho sempre rifiutato di avere un maestro. I movimenti e cenacoli letterari mi hanno interessato poco, e sempre per poco tempo. Non ho mai voluto imitare nessuno.
Credo che la mia sia una scrittura schizofrenica, e credo che ogni forma d’arte, quando funziona, riesca a raggiungere quella che io voglio chiamare qui “iperverità”. Schizofrenica, nel senso che cerca di mettere insieme vari registri, di seguire il ritmo del pensiero, che vaga con libertà e con completa illogicità. Alcuni mi definiscono un poeta narrativo, altri un poeta sperimentale. A me vanno bene tutte e due le definizioni, ma non completamente.
Difesa berlinese verrà presentato da Andrea Cortellessa, Guido Mazzoni e Gianluigi Simonetti; qui l’evento FB. Chi può vada!
Lankenauta | Il libro delle cose
Su Lankenauta una recensione di Ettore Fobo a Il libro delle cose, silloge di Fabio Donalisio con nota critica di Andrea Cortellessa. Un estratto dalla recensione:
Fabio Donalisio continua nella sua operazione di scavo, di raschiatura di concetti, mirando a esprimere o, come voleva Roland Barthes, inesprimere, nei suoi versi secchi e taglienti “il minimo importante”, ciò che sfugge al nulla solo per l’illusione di senso che gli diamo. Assenza è la parola chiave per comprendere questa poetica scabra, in cui versi altrui vengono riutilizzati o modificati per generare una letteratura di richiami e di rimandi, che a dispetto del vuoto, che sembra essere la trama profonda del nostro vivere e scrivere, si rivela densa. La rima è usata in maniera moderna, quasi sempre interna al verso, a inventare una partitura metrica del tutto originale.
Alcuni versi più discorsivi, riportati in corsivo, sembrano dare la dimensione filosofica di questa versificazione in cui il poeta stesso viene meno, l’io lirico scompare, e vengono fuori le cose da qui il titolo del libro Il libro delle cose, edito da Nino Aragno editore, nell’aprile del 2018. Nella bella nota critica in quarta di copertina Andrea Cortellessa parla di “dolce stil niente” e ha ragione.
Donalisio svuota di sé, del sé, la parola poetica ed emerge dolcemente il vuoto, vuoto l’io, minima e insignificante particella pronominale, vuoto il noi, per lo stesso identico motivo: “io è ognuno, è il pronome più generico e / impersonale, non serve a designare nessuno”.
Già dai primi versi Donalisio chiarisce a che gioco stiamo giocando “che fai? niente mi do/assente”. Altrove leggiamo “le parole implicano l’assenza di ciò che designano”. La sensazione, gorgiana, è che nulla possa essere detto, ma che il non detto sia il tutto, e che la lingua poetica sia un prolungato disdire la dicibilità del reale, spesso troppo facile, spesso ingannevole, “lingua ombra” alla maniera di Celan, in cui come dei novelli Jabès, qui di seguito citato, “abitiamo solo la nostra perdita”, la nostra scomparsa, in cui la stessa carne non è altro che la “base fisiologica del vano”.