La seconda parte – qui la prima – della lunga analisi sull’opera di Montague Rhodes James, che può sfociare nel lavoro cinematografico di Ari Aster intitolato Hereditary. Su AxisMundi; un estratto:
Un altro tema che talvolta fa capolino nei racconti dell’orrore di Montague Rhodes James, e che ci prefiggiamo di trattare in questo nostro secondo articolo a lui dedicato, è quello dell’essere umano come burattino o marionetta, il cui destino si rivela essere in ultima analisi in mano a entità ben più potenti ed enigmatiche, che giacciono dietro le quinte del reale: spiriti di streghe mai morte realmente, entità vampiriche, demoni infernali, e via dicendo. Abbiamo già notato come in uno dei più terrificanti racconti mai scritti da James, Topi (“The Rats”, 1929), il motivo dell’orrore è una sorta di spaventapasseri vivente, o per meglio dire un individuo che un tempo fu un essere umano, e che ora è una sorta di fantoccio non-morto, intrappolato a causa di una maledizione in una condizione sospesa tra la vita e la morte.
In altri racconti jamesiani il leitmotiv dell’uomo-marionetta viene sfruttato diversamente, dando vita a suggestioni hoffmanniane e ligottiane. È il caso, per esempio, della Storia di una scomparsa e di una apparizione (“The story of a disappearance and an appearance”, 1913), il cui climax di terrore è da individuare in un’esperienza onirica vissuta dal narratore dal sapore estremamente cinematografico, segnatamente lynchiano. Egli sogna di assistere a uno spettacolo di burattini (questa sequenza può portare alla mente del lettore alcune delle sequenze più “teatrali” de Il lupo della steppa di Hermann Hesse, che sarà dato alle stampe nel 1927) il cui personaggio principale, Pulcinella, è ammantato da una sorta di aura “satanica”, che lo rende simile, agli occhi del protagonista, al «Vampiro nel folle schizzo del Fuseli»:
«È cominciato con quello che posso solo definire come una tenda che si apriva: dopodiché mi sono trovato seduto in un posto, e non saprei dire se all’aperto o al chiuso. C’era gente — non molta — intorno a me, ma non riconoscevo nessuno, né vi facevo attenzione. Non aprivano bocca, ma per quel che ricordo apparivano tutti gravi e pallidi in volto, con lo sguardo fisso nel vuoto. Di fronte avevo lo scenario di uno spettacolo di Pulcinella e Colombina, forse molto più grande del normale, dipinto a disegni neri su sfondo rosso giallo. […] Me ne stavo “sospeso” in un’ansia di grado elevatissimo e mi aspettavo da un momento all’altro di udire pifferi e campanelli. Invece è giunto un improvviso ed enorme […] e unico rintocco di campane, non saprei dire quanto lontane, da qualche parte laggiù, là dietro. Il piccolo sipario s’è alzato e il dramma ha avuto inizio.»
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