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NeXT Hyper ObscureArchivio per novembre 4, 2019
Ecco disponibile “Il cacciatore di sirene”, di Domenico Mortellaro, Premio Kipple 2019 | Kippleblog
[Letto su KippleBlog]
Il cacciatore di sirene, il romanzo di Domenico Mortellaro vincitore del Premio Kipple 2019, è da oggi disponibile su www.kipple.it e nelle principali librerie online, in formato digitale e cartaceo. La copertina è a cura di Ksenja Laginja
Nell’Italia buia del Ventennio, un caso provinciale di follia vede protagonisti un direttore del manicomio, un ispettore di Polizia inviato direttamente da Mussolini, e Carl Gustav Jung. L’autore tratteggia con la maestria del romanzo non di genere i profili dei personaggi, facendo risaltare prepotentemente i sussulti weird dell’assurdo che s’insinua sotto la soglia del reale. Un’interpretazione magistrale da parte di Mortellaro che pone l’autore nell’olimpo dei nuovi narratori del Fantastico e del mainstream.
Sinossi
Un romanzo che va oltre il racconto di genere. Domenico Mortellaro vince il Premio Kipple 2019 con una storia che fa del Fantastico la sua bandiera, mentre racconta fatti verosimili e derive immaginifiche di un’Italia fascista, nella Provincia più profonda dove in un manicomio criminale si fronteggiano il direttore della clinica, un ispettore capzioso e al contempo brutale – inviato da Mussolini in persona – e Carl Gustav Jung, impegnato in un ruolo di cesura che ben si attaglia con le intuizioni della Sincronicità.
Il cacciatore di sirene è un teatro dell’assurdo e del weird che esplora i fantasmi del nostro presente, mai sopiti e soprattutto, mai morti.
Estratto
Le lenzuola bruciano. Il materasso è un catino che ribolle. Spingo via tutto. Anche i pantaloni da notte. Li sfilo fin quasi a strapparli. Scalcio. Non vogliono sapere di venire via. Mi libero e mi volto pancia sotto. Sprofondo la testa nel cuscino.
Non voglio vedere, non voglio vedere, non voglio vedere.
Davanti agli occhi ho ancora quella faccia secca. Quel fil di ferro ritorto in due cerchi sgangherati, a fare da montatura a fondi di bottiglia buoni per le talpe. Ce l’ho sotto gli occhi, non vuole andare via, non vuol saperne di sparire. Sprofondo ancora di più il viso. E quando tutto attorno davvero sembra buio abbastanza, acchiappo i lati del cuscino con le mani e me li premo sulle orecchie.
Non parla, ma lo sento.
Sento i rumori. Sento le gocce di sangue che colano dalle sue dita sul pavimento, picchiettando il marmo, gocciolando nella pozza. Sento il respiro catarrale di quell’uomo, i suoi ansimi. Muto. Non dice una parola. Resta lì, fermo, proprio come qualche sera fa, quando me lo sono visto alle spalle, nell’ombra. Immobile. Storto come un tronco rachitico.
Premo più forte e non c’è verso di scacciare quel respiro. Trattengo il fiato per fugare ogni dubbio: quel che sento non è il mio. Passi. Passi che rimbombano. Nella testa. Nel petto. Sempre più forti. Sempre più decisi. Ritmati, in cadenza. Rombano. E schioccano così forte da far ballare anche il materasso. Sbalzarlo in su e risucchiarselo dietro un rintocco dopo.
Mi entra nelle orecchie, quel suono. Mi sfonda i timpani e corre alle tempie. Pulsa. Schiaccio la faccia nella stoffa, affogando i respiri nella palude delle piume d’oca. E quei tonfi ritmati mi arrivano in gola, a spingere giù il respiro. È il mio cuore, questo; ne sono certo. E non posso fermarlo. Non posso chiedergli di smettere. Mollo la presa, per non soffocare. Alzo il viso e nella penombra le volute di ferro battuto della spalliera del letto, lì di fronte, di colpo si trasformano in quegli occhiali che sembrano vortici di filo spinato.
Crollo di nuovo faccia in giù. Grido forte, schiacciando di più la bocca per provare a non sentirlo nemmeno io, quell’urlo disperato.
Premo fuori tutto. Spingo. Spingo e provo a sbattere tutto fuori, in preda alla furia. Finché la gola non mi scoppia, non si rivolta fuori graffiandosi. Finché non ho più fiato e i polmoni sono due palloncini sgonfi, avvizziti. E di colpo sento freddo.
La quarta
Nell’Italia buia del Ventennio, un caso provinciale di follia vede protagonisti un direttore del manicomio, un ispettore di Polizia inviato direttamente da Mussolini, e Carl Gustav Jung. Il cacciatore di sirene è un teatro dell’assurdo e del weird che esplora i fantasmi del nostro presente, mai sopiti e soprattutto, mai morti.
L’autore
Domenico Mortellaro, barese, classe 1979, criminologo e sociologo.
Ha tirato di boxe, ama i gin tonic fatti bene, i caffè veri e l’Internazionale Football Club. Scrive di Male e altre barbarie; poco importa se siano saggi sulle mafie italiane o profili criminali. Oppure romanzi e racconti che i lettori battezzano noir, weird, splatter o cyberpunk.
I suoi primi racconti compaiono attorno al 2003 negli eBook di latelanera.com con lo pseudonimo di Aleks Kuntz. O nelle antologie Giallo Scacchi, Limite acque sicure o Tutto il nero d’Italia. È il 2016 quando pubblica Controllo remoto e Clotilde Secret Files #1 per il ciclo di Archology e il romanzo horror storico Quelle povere criature. L’anno dopo è tra gli autori che per primi rispondono alla chiamata di Forlani e Davia e nell’antologia Thanatolia partecipa con tre racconti. Nel luglio del 2019, per la collana “Futuro Presente” di Delos Digital sforna Carne o ferro, un romanzo breve di fantascienza sociale. Se c’è una cosa che detesta, però, è dover accettare che nella narrativa esista una “questione di genere” che obbliga a disegnare steccati e rinchiuderci dentro le storie.
Fuori dal mondo della narrativa di evasione, ormai dal lontano 2006, ha pubblicato saggi sul profiling, sulle biografie criminali e sulle mafie pugliesi. Oltre a scrivere per quotidiani e settimanali di cronaca nera e periferie. Nel poco tempo che famiglia, professione e narrativa d’evasione gli lasciano libero, educa piantine a diventare bonsai, visioni a diventare fotografie e bpm a diventare musica. In effetti, chi lo conosce bene dice che 24 ore gli sembran poche.
La collana
Avatar è la collana di Kipple Officina Libraria dedicata ai romanzi e grandi capolavori prettamente italiani del Fantastico e della SF, opere contraddistinte dalla cura meticolosa dei testi e dalle ampie visioni autoriali. Il logo della collana sintetizza perfettamente il circolo del tempo, delle conoscenze, degli eventi nascosti; l’iperbole del Fantastico per spiccare il volo nella fantasia più sfrenata e meravigliosa.
Domenico Mortellaro | Il cacciatore di sirene
Copertina di Ksenja Laginja
Kipple Officina Libraria
Collana Avatar — Formato ePub e Mobi — Pag. 195 – € 3.95 — ISBN 978-88-32179-15-6
Collana Avatar — Formato cartaceo — Pag. 184 – € 15 — ISBN 978-88-32179-14-9
Link
- su Kipple Officina Libraria: https://bit.ly/2Ni5NQ7
- su Amazon: https://amzn.to/34akSu6
Eric La Casa + Eamon Sprod – Friche : Transition | Neural
[Letto su Neural]
Attira subito la nostra attenzione l’iperrealistico artwork accompagnato da un raffinato booklet di dodici pagine a colori. Friche : Transition è il progetto collaborativo d’esordio per Eamon Sprod ed Eric La Casa – il primo, artista sonoro australiano attivo da quasi due decadi, l’altro, ancora più esperienziato sperimentatore transalpino e field recordist – insieme organizzatisi nella primavera del 2015 per effettuare una settimana di registrazioni in luoghi che sono stati scelti dal duo fra quelli del nord est di Parigi e lungo il canale Ourcq, terreni perlopiù colmi di rifiuti, spazi di risulta, che ancora in qualche modo sono dentro la città, avamposti alieni da cui ascoltare i rantoli d’una metropoli contemporanea rigurgitante il suo stesso sviluppo. Sottostanti a un sibilo continuo, le trame della prima delle quattro transition sono composte fondamentalmente da piccoli brusii, abbaiare di cani ed emergenze auditive stridule, rumore dato da piccoli movimenti e dal vento, fischi e ancora fruscii. Segue poi una parte dove l’alternanza tra silenzi e catture auditive scandisce un differente percepire gli spazi, vergato da registrazioni d’elementi come maggiormente macchinici. È solo una fugace impressione, tuttavia, perché la natura di questo rimestare nell’indistinto è proprio quella, infine, di potersi muovere fra un’enorme varietà di risonanze piuttosto sorde e cupe. Immaginiamo gli artisti come guide in territori impervi, in un lento e profondo viaggio catartico. Ci sono anche rotolamenti, suoni liquidiformi o forse ottenuti dal bruciare di qualche materiale, risonanze più metalliche o di vetri: dai rifiuti – qualcuno direbbe dal “nulla” – si ricava tutto un elenco di catture auditive, una summa di dati vibratili, alla quale è dato un certo andamento (non sappiamo se anche effetto di post-produzione o solamente frutto di catture secche). Comunque sia, il risultato è notevole, il duo riesce a trasformare qualcosa che appartiene alla vita di tutti i giorni e a un paesaggio abbastanza stantio e depresso in qualcosa di coinvolgente, misterioso e rimarchevole come esperienza. Siamo sulla soglia, anche esistenziale, di quella che è una grande città: i suoi sussurri indifferenziati ci parlano di quello che ormai è soltanto residuo, che non ha più funzione alcuna, di rumori sordi e di umori putridi. È questa ancora musica? È arte? È commentario sociale in forme poetiche? Non si può rispondere in maniera netta a questo, o meglio, non è conveniente: rimanere nel vago in certi casi offre più risorse e svela tutta l’ambiguità di un quotidiano ridotto solo a formule, disquisizioni ed analisi razionali.
Celer – Xièxie | Neural
[Letto su Neural]
La parola 谢 谢 (xièxie) è composta da due caratteri cinesi, la cui traduzione significa “grazie”, forse un semplice omaggio alle persone incontrate durante un viaggio fra Shanghai e Hangzhou, che l’autore Will Long ha compiuto nel 2017, oppure – in maniera altrettanto probabile – xièxie è l’espressione più facile da pronunciare in una lingua che per noi occidentali è alquanto ostica. La pubblicazione del progetto si deve alla Two Acorns e per l’occasione Long ha utilizzato il suo alias Celer, organizzando in maniera impeccabile field recording e calibrati droni sonori, disposti in undici tracce dal gusto estremamente cinematico, dilatatissime e godibili, suddivise in un doppio cd. È una sorta di audio-diario, insomma, traduzione in forma poetica di quelle che sono le suggestioni indotte dall’attraversamento di luoghi e situazioni, passando fra differenti ambienti e con variabili condizioni climatiche, alternando tramonti e luci al neon, risvegli e mercati, natura e metropoli, bagliori e nebbie. L’impianto non è mai dissonante, sensibilissimo e quietista, attento a una resa estetica distillata e dolce. Celer cerca di far risuonare le atmosfere dei posti attraversati, ma è comunque sempre una melodia interiore a scaturire, come se di determinati spazi riuscissimo solo a cogliere quello che è già nella nostra testa, in un transfert che sposta schemi di sentimenti ed emozioni da un contesto all’altro e dove gli schermi HDTV di un megastore facilmente possono diventare qualcos’altro, semmai astri artificiali. Anche le voci vengono registrate non per quello che dicono ma per la loro predisposizione esotica nel presentarsi come forme di musicalità e le sequenze – pure le più fangose – vengono predisposte sempre per ammaliare, per sedurre, per trasportare l’ascoltatore in una dimensione sospesa, un po’ magica e introversa. Ogni transito è ingannevole – può riportare e riporta a ulteriori riferimenti – e i tempi sono ciclici, come in un continuo prodursi e disfarsi, in sequenze eterne ed infinite. L’autore è lì – sul posto – e non compone all’interno di un vuoto: tramite riferimenti reali può solo parzialmente cercare di filtrare il suo dialogo privato, o almeno arrivare a governarlo. La realtà è quello che dà l’impulso, ma poi tutto è un po’ vago, ha bisogno d’ulteriori suggestioni per evolvere in strutture musicali compiute. Viaggiare apre ulteriori porte e per Celer è alquanto improbabile interrompere il proprio flusso musicale fatto di momenti tradotti in suono. Non rimane che ringraziare, un po’ ossessivamente, “grazie, grazie”. Queste parole anch’esse risuonano come un mantra personale che ci riconnette a un quotidiano estetizzato e per questo più sopportabile.