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NeXT Hyper ObscureArchivio per novembre 7, 2019
Lankenauta | Se Auschwitz è nulla. Contro il negazionismo
Su Lankenauta la segnalazione di Se Auschwitz è nulla. Contro il negazionismo, scritto da Donatella Di Cesare. Basterebbe già un qualche estratto della recensione, tipo:
Negare che le camere a gas siano mai esistite non è una semplice opinione. Così come non è una semplice opinione affermare che l’olocausto non ci sia mai stato. Confondere le opinioni e la libertà di espressione con la distorsione o la manipolazione di un fatto storico come la Shoah solo per difendere un’ideologia criminale è un errore pericolosissimo. Donatella Di Cesare, professoressa ordinaria di Filosofia teoretica alla Sapienza di Roma, attraverso il breve saggio “Se Auschwitz è nulla. Contro il negazionismo”, pubblicato da Il Melangolo nel 2012, si addentra in una materia complessa analizzandone le numerose componenti e, di conseguenza, evidenziandone le gravi conseguenze. E a proposito del negazionismo considerato come frutto di una libera espressione, la Di Cesare scrive: “Il negazionismo non è un ornamento della cultura contemporanea. Non è un’opinione come un’altra. Piuttosto è la soppressione delle condizioni per un confronto. È un’attività fantasmatica, non una ricerca intellettuale. E come tale si esercita in una vuota, spettrale, funerea negazione, non per questo meno temibile. Non c’è dunque un’opinione che si scontri con una “verità di stato”, perché l’opinione è un mero negare, e inoltre non si nega una verità, bensì il luogo fragile, e imprescindibile, della condivisione“.
La negazione, concettualmente, può essere considerata una visione per lo più arbitraria e univoca: esattamente ciò che la storia non può essere. Negare non riesce ad essere un’opinione perché si vuole porre come unica interpretazione veritiera, quindi elevarsi a dogma in cui manca totalmente un’interpretazione che possa dirsi critica. Ciò implica che tutte le altre interpretazioni diventino automaticamente false. In verità, spiega la professoressa Di Cesare: “…bisogna parlare di un’interpretazione “giusta”, che rende giustizia all’evento, ma anche al testo che viene letto e all’opera che viene eseguita. Tuttavia “giusta” non vuol dire giusta in assoluto. Altrimenti si chiuderebbero dogmaticamente le porte del processo interpretativo. Come, però, non c’è una interpretazione fissata una volta per tutte, così non c’è neppure l’arbitrio dell’interpretazione“. L’arbitrio di chi nega, dunque, sta nel nascondere o celare, con le proprie presupposizioni ciò che andrebbe più saggiamente e lealmente interpretato. “Se poi dal nascondere, per inconsapevolezza o incapacità, si passa al negare intenzionale, si esce dal luogo aperto delle possibili interpretazioni, che tengono in vita la verità, per entrare nel blocco chiuso della logica totalitaria ridotta all’alternativa tra nulla e tutto“.
Tutto ciò significa che bisogna sempre mettere un paletto alla volatilità delle idee, dei concetti, mettendoci sempre davanti un’etica; è politica, ma la nostra vita è politica, altrimenti sarebbe disincarnata.
Gli Antichi
L’aspetto è cadente, il suolo si apre alle percezioni e da lì sgorgano infiniti rivoli di male a contatto, arcaici esseri ineffabili e informi.
Insussistenza
La lista delle parole si allunga nella complessità mediatica del continuum, sette dimensioni afflosciate in posizioni variate testimoniano l’uso caotico del reale, che conferma la sua insussistenza.
Il “Grande Gioco” di Jacques Bergier – A X I S m u n d i
Su AxisMundi un lungo articolo che celebra l’opera di Jacques Bergier, uno dei due autori del celeberrimo Il mattino dei maghi, bibbia del realismo magico che tanto sa influenza ha avuto sulle mie suggestioni, su quelle dei connettivisti, integrandosi col weird e alimentandolo, decostruendo così il concetto positivista del reale. Un estratto dall’articolo:
Nella vita di Bergier non ci fu solo il «realismo magico» e la passione per la fantascienza: a discapito della sua celeberrima massima secondo cui il solo interesse della scienza risiede nel suo fornire idee alla fantascienza [p. 148], altrettanto degne di nota furono le ricerche scientifiche e le conseguenti applicazioni che egli portò avanti nei primi anni Trenta, insieme a Alfred Eskenazi e a André Helbronner (primo docente in Francia insegnante di chimico-fisica, assassinato dai nazisti a Buchenwald nel 1944).
Scrive Scarabelli che «Bergier si rifiutava di separare la scienza dal miracoloso e credeva che, se adeguatamente addestrata, l’immaginazione potesse intercettare frammenti di realtà situati nel futuro» [p. 290]. A tal riguardo, similmente a Lovecraft per quanto riguarda la scoperta di Plutone e a Villiers-de-l’Isle-Adam che teorizzò con oltre un secolo di anticipo la «pubblicità nel cielo», Bergier previde l’avvento dell’energia nucleare, da lui definito «la seconda scoperta del fuoco» [p. 49], e l’automatizzazione dell’uomo e della società: nel 1937 abbozzò la carta intestata della futura società che stava per costituire scrivendo: «Robotizzazione di ogni industria. Automi civili, militari ed ecclesiastici» [p. 56]. Da lì a una decina di anni si rese conto che [p. 151]:
«la fantascienza era diventata realtà. L’energia nucleare, razzi e robot erano entrati nel mondo concreto: insomma, l’universo che ci attendeva non era quello descritto dalle grandi utopie, ma quello della fantascienza, tanto entusiasmante quanto fragile, che avrebbe potuto collassare e inabissarsi come Atlantide.»
Pur sognando «un nuovo impero dell’atomo» [p. 73], Bergier guardò alla fissione dell’uranio come un terribile «errore del progresso»: meglio sarebbe stato sperimentare l’energia nucleare leggera, non basata sull’uranio. Egli intravide in queste “decisioni dall’alto” l’impronta degli operatori occulti dietro le quinte della storia, di cui parlò nei suoi libri ascrivibili al filone del «realismo magico» e della realtà alternativa: in tal senso porta un secondo esempio, affermando che se si fosse commercializzato il motore Sterling, in grado di bruciare qualsiasi sostanza, anziché quello a scoppio, «si sarebbero evitate tutte le guerre del petrolio e oggi, nel 1976, la Francia sarebbe un Paese indipendente, non una colonia araba» [p. 61].
Le sue profezie interessarono anche la Seconda Guerra Mondiale, che egli visse in prima persona: in un articolo pubblicato sulla rivista Il soldato germanico nel Mediterraneo annunciò che «Amburgo sarebbe stata distrutta da una tempesta di fuoco». Non poteva immaginare che da lì a poco ciò si sarebbe realizzato davvero, allorché le forze Alleate scatenarono su Amburgo una vera e propria «tempesta di fuoco» mediante un massiccio bombardamento con ordigni incendiari: un fenomeno dalle dimensioni mai viste «se non a Hiroshima e Nagasaki». Interrogato dagli agenti segreti inglesi su come avesse fatto ad avere l’informazione sull’operazione prima dell’attacco, Bergier rispose senza scomporsi che era stata una «semplice intuizione» [p. 103].