Il ridicolo, insegna il Trattato dell’argomentazione, è di norma «legato al fatto che una regola è stata trasgredita o combattuta in modo incosciente, per ignoranza sia della regola stessa, sia delle disastrose conseguenze di una tesi o di un comportamento», ma è anche un’arma potente di cui dispone l’oratore, che può evidenziare il ridicolo. Se l’ironia è uno strumento senz’altro utile, con la satira non solo si indebolisce l’avversario, ma si intende modificare l’atteggiamento dell’uditorio, coinvolgendolo in un ragionamento che, proprio evidenziando il ridicolo, ne faccia prendere coscienza, ne mostri l’inaccettabilità e porti ad agire di conseguenza. Non si tratta solo di prendere in giro, ma di far riflettere per cambiare. E c’è un bersaglio: il potere, che sia il potente, un costume, la norma. Attaccare un ordine costituito, dimostrandone il ridicolo, individuando però la trasgressione di una regola che non ha a che fare necessariamente con la legge. Per intenderci: non è detto che quanto sia normale, o magari anche legale, sia giusto. Nella satira c’è quindi anche una tensione etica. In fondo, la satira è un modo di (ri)mettere in ordine le cose. Offre prospettive per leggere i fatti, uno sguardo diverso per far vedere altre verità. Per questo, qualunque forma abbia, la satira dovrebbe essere aggressiva e distruttiva, ma anche costruttiva, propositiva. Non basta dire che il re è brutto, e nemmeno urlare che è nudo. Oggi peraltro il potente dice alla luce del sole di essere nudo: ha distrutto la sua aura, è uno di noi, come noi, coi nostri difetti, in cui possiamo riconoscerci, o in cui ci rifiutiamo di farlo. Anche da qui deriva l’attuale polarizzazione politica rispetto ai leader, e viene in mente Douglas Adams, la Guida galattica per gli autostoppisti: ancora negli anni Settanta, immagina che il Presidente del Governo Galattico Imperiale sia in realtà un prestanome, e che venga scelto il più spregevole figuro possibile per ricoprire quel ruolo, perché la sua unica funzione è attirare su di sé l’attenzione, e lasciare a chi di dovere la gestione silenziosa del potere. Non è poi tanto distante da quanto Pasolini scriveva pochi anni prima sulle «maschere funebri» o «teste di legno» democristiane di cui il «potere reale», altrove il Potere, ormai non aveva più bisogno.
In Italia, come in tanti altri paesi del mondo, grazie alla rete la satira sta vivendo grande successo. Tra i numerosi esempi possibili, forse uno dei più noti al momento è il sito Lercio.it. Nato nel 2012 come blog personale di Michele Incollu, diventa collettivo col gruppo satirico “Acido Lattico” e oggi fa satira su politica, sesso, società, religione, cattivo giornalismo. Produce “fictional news”, che non sono “fake news”, come spiega nel 2016 la redazione di Lercio sul sito di Parole O_Stili, nato per proporre forme di comunicazione non ostile sul web: «l’intenzione della bufala è proprio quella di essere creduta vera. Per questo viene presentata in modo più simile possibile alle notizie dei quotidiani. Nei nostri articoli invece cerchiamo di abbondare con i particolari iperbolici e inverosimili, facendo la parodia del giornalismo 2.0. Le bufale poi non hanno un bersaglio satirico, anche quando sono pubblicate “contro” qualcuno, spesso sono semplicemente diffamatorie». La differenza è fin dal titolo: una fake news dirà I vaccini pediatrici arricchiscono Big Pharma e provocano l’autismo, un titolo di Lercio: Big Pharma: “Pronto il vaccino contro i vaccini”. La forza e il successo sui social di Lercio è proprio nei titoli. Focalizzando la politica, nei giorni della crisi italiana di fine estate 2019 abbiamo ad esempio, tra gli “ultim’ora”: “È giallo-rosso!” “No, è rosso-giallo!”, Pd e M5S litigano sul colore del nuovo governo; Pensionato preme per sbaglio un banner sulla Piattaforma Rousseau e si ritrova Ministro dell’Economia; Luca Parmitano pubblica dallo spazio la foto dei coglioni di Mattarella; Troppi passi indietro: Matteo Salvini ritorna spermatozoo; Accordo di governo, Pd: “Dopo il vicepremier pronti a rinunciare anche agli elettori”. Sul profilo Facebook titoli come Di Maio presenta una lista di congiuntivi a lui sgraditi ottengono circa 2000 like in un’ora. Il successo è dettato dall’efficacia della brevitas, che come nella migliore tradizione satirica da giornale (cartaceo o online) ha come requisito fondamentale la conoscenza delle notizie reali da parte dell’uditorio. Su di esse, attraverso un titolo, viene costruito un discorso che mostra il ridicolo di una particolare situazione. Nei casi citati: la litigiosità tra Pd e M5S per la costruzione del governo Conte-bis, l’inaffidabilità della piattaforma Rousseau, la pazienza di Mattarella di fronte alle difficoltà per la formazione di un governo, i tentativi di Salvini per recuperare l’alleanza con il M5S, la costante disponibilità del Pd a trattare, le continue richieste di Di Maio. Lo schema è il medesimo dei titoli dei giornali comuni: divisi in due parti, una individua l’oggetto del discorso, l’altra offre l’elemento nuovo, nel nostro caso la seconda suscita il riso commentando l’oggetto, ovvero la notizia di riferimento. A ben vedere è una costruzione analoga a tutta la satira contemporanea che si muove sulla brevitas (comoda anche per la diffusione sui social, twitter in primis), il problema, però, è se il riso susciti nell’uditorio una riflessione. E se tale riflessione provochi un cambiamento.
Il bersaglio della satira, che vuole essere distruttiva e propositiva, con una tensione etica, non può che essere lui. Sarebbe forse meglio allora abbandonare i simulacri della politica, legati alla cronaca, quindi all’inscalfibile presente e al suo virtuale, e andare alla sua sostanza (alla sua struttura?). Così la satira offrirebbe prospettive diverse per leggere i fatti, per far vedere altre verità, per (ri)mettere in ordine le cose. Altroché dire che il re è brutto, o nudo. Ignoriamo il re! Il re non conta niente! È il Presidente del Governo Galattico Imperiale! Non servono detournement ironici del presente rivolti a lui, serve un’aggressione alla struttura che ne sveli la trappola. Tutto ciò che attacca il contingente non può altro che rafforzare lo status quo. La satira in quanto tale deve volere davvero un cambiamento, quindi non può che essere rivoluzionaria e deve riuscire ad affrontare la «distopia capitalista». Parlare dell’economia, dei processi produttivi, dei rapporti di proprietà, ridare coscienza per bloccare il futuro virtuale e lottare per quello possibile. E c’è ben poco da ridere.