Su AxisMundi un lungo post che indaga l’opera (anche occulta) di David Lynch, uno dei pochissimi geni superlativi dell’arte contemporanea.
David Keith Lynch, statunitense, uno dei più significativi registi della storia recente, figura enigmatica del cinema, torturatore dell’inconscio e dei lati oscuri dell’individuo e della realtà, grande sapiente di un Occidente contemporaneo in avanzata crisi spirituale. Il suo cinema è pieno di segreti, intuizioni, indicazioni, lati nascosti, altissime e vastissime conoscenze. Dalla psicanalisi, alle dottrine orientali – è egli stesso praticante di meditazione trascendentale –, fino all’esoterismo nel senso più vasto del termine. In quest’articolo esamineremo alcune delle sue opere, per coglierne gli “assi portanti”. Assi che sembrano costituire il vero nucleo delle sue produzioni, da molti “profani” definite troppo spesso “senza senso”, e che invece sono ricolme di “ogni senso”.
“Preferisco ricordare le cose a modo mio”, afferma Fred Madison protagonista di Lost Highway (titolo italiano Strade perdute), tra i capolavori di David Lynch degli anni novanta. L’affermazione di Fred Madison (Bill Pulman), sembra innocua o, appunto, “apparentemente senza senso”, ma in realtà è la chiave d’accesso agli squarci di mondo interiore aperti in questo e in altri suoi capolavori: il “potere della mente”, nella potenza e nel delirio, nell’immaginazione positiva e nella proiezione distorta, tra il servizio alla realtà e l’allucinazione distruttiva.
Il protagonista di Lost Highway, infatti, è un musicista jazz abbastanza introverso, in un periodo poco felice, anche dal punto di vista coniugale, come emerge dai dialoghi con sua moglie. Quest’ultima, la procace e sensuale Renée – una Patricia Arquette dall’estetica pin up –, quando valorizzata a pieno assurge a vero elemento di congiunzione per una discesa nei meandri più oscuri della psiche del marito.
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