Su OggiScienza la notizia che alcune zone topiche di Plutone, quelle attualmente più conosciute, hanno ora un nome ufficiale. Mi prenoto per una casupola su Sputink Planitia o, se dovesse fare un filo troppo fresco, nella Virgil Fossae. Ci vediamo lì?
Per esempio, la Tombaugh Regio rende il doveroso tributo a Clyde Tombaugh, che nel 1930 scoprì l’esistenza del pianeta mentre lavorava al Lowell Observatory, in Arizona. Il Cratere Burney, invece, omaggia Venetia Burney, che all’età di 11 anni propose, con successo, di chiamare il pianeta appena scoperto con il nome di una delle principali divinità della mitologia romana: Plutone. Sono molti i nomi che sono stati scelti per celebrare il continuo sforzo compiuto dall’essere umano per superare i limiti e spingersi verso orizzonti inesplorati. È il caso della Sputnik Planitia, che ricorda il primo satellite spaziale lanciato dall’Unione Sovietica nel 1957, oppure della Catena dei Monti Al-Idris, un tributo al geografo arabo Ash-Sharif al-Idrisi che nell’XI° secolo d.C. raccolse i suoi lavori di mappatura delle superficie terrestre fino ad allora conosciuta in un volume dal titolo tradotto come “Il sollazzo per chi si diletta di girare il mondo”.
La toponomastica del pianeta nano ai confini del Sistema Solare celebra anche alcune figure mitologiche come Sleipnir, il potente cavallo a otto zampe che conduce Odino nell’aldilà, e i Djanggawuls, esseri ancestrali descritti dalla mitologia degli indigeni australiani. Non manca un tributo a Virgilio, la guida di Dante nella sua discesa verso gli inferi, a cui è stata intitolata la Virgil Fossae, una profonda cavità dal diametro di 714 chilometri.
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