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Archivio per Syd Barrett

Pink Floyd, Welcome to the machine – Oakland 1977


Questo brano live, performato nel ’77, è davvero tanta tanta roba. Notate le sfumature delle tastiere, della 12 corde, degli echi di voce di Roger, della guitar così acidamente oscura e sintetica di Gilmour, tutto l’ensamble sonoro e ritmico che…

SYD BARRETT: “HAVE YOU GOT IT YET?” – IL TRAILER DEL NUOVO DOCUMENTARIO | PINK FLOYD ITALIA


Su PinkFloydItalia l’annuncio dell’uscita di Have You Got It Yet? The Story of Syd Barrett & Pink Floyd, documentario su Syd Barrett e su cosa ha significato per lui e per noi il periodo in cui è stato con i Floyd, all’inizio della loro parabola. In basso il trailer del film:

Icona di culto, enigma, recluso… la vita di Syd Barrett, membro fondatore dei Pink Floyd, è piena di domande senza risposta. Fino a oggi.
Mettendo insieme la sua ascesa cometaria alla celebrità pop, i suoi impulsi creativi e distruttivi, l’esaurimento nervoso, l’uscita dalla band e la successiva vita solitaria, questo documentario si inserisce nel contesto sociale degli esplosivi anni Sessanta. Diretto da Storm Thorgerson (Hipgnosis) e dal pluripremiato regista Roddy Bogawa, presenta nuove interviste agli amici, agli amanti, alla famiglia e ai compagni di band di Syd, Roger Waters, David Gilmour e Nick Mason. Il documentario – che prende il nome da una canzone inedita che Barrett portò alle sue ultime prove con i Pink Floyd – include anche interviste a legioni di artisti ispirati dalla breve permanenza di Barrett nella band – Pete Townshend degli Who, Graham Coxon dei Blur, Andrew VanWyngarden degli MGMT e altri ancora – oltre agli ex manager dei Pink Floyd Peter Jenner e Andrew King, al drammaturgo Tom Stoppard e alla sorella di Barrett, Rosemary Breen.
Il sito ufficiale del documentario: https://www.sydbarrettfilm.com/

PINK FLOYD: IL GENIO DI SYD BARRETT & THE DARK SIDE OF THE MOON | PinkFloydItalia


Su PinkFloydItalia un lungo articolo che indaga le interazioni tra SydBarrett dei primi Floyd con quelli della goldenage, quelli degli anni ’70, in cui il percorso iniziale di Syd è stato inglobato in una visione forse meno estrema, ma più comprensibile dal pubblico, più identificabile. Un estratto:

Poco dopo la registrazione del loro album di debutto, The Piper at the Gates of Dawn, Syd Barrett lasciò i Pink Floyd, ma negli album successivi – A Saucerful of Secrets, Atom Heart Mother, Meddle– i Pink Floyd continuarono a essere legati a lui. Questo aspetto è raramente messo in discussione. Peter Jenner, un tempo manager dei Pink Floyd, disse di The Dark Side of the Moonche, sebbene fosse in gran parte incentrato su Syd, era l’album in cui i Pink Floyd fuggivano da Syd. Su The Dark Side of the Moon, secondo la saggezza popolare, i Pink Floyd divennero i loro stessi uomini.

Questo vitale salto artistico non fu compiuto – come si potrebbe immaginare – abbandonando lo spirito di Barrett e ciò che rappresentava musicalmente e liricamente, ma piuttosto comprendendolo; o, per dirla in altro modo, decifrando il suo codice segreto per capire come la musica possa catturare i cuori e le menti di un pubblico di massa.

In apparenza, la band si era liberata della psichedelia esoterica di Syd in The Piper at the Gates of Dawn, sostituendola con il linguaggio diretto e senza complicazioni di Roger. Tuttavia, entrambi gli album si incrociano su temi comuni o correlati: la curiosità di esplorare se stessi; la realizzazione della natura rapida della giovinezza e il ricordo malinconico di essa; la spinta e l’attrazione della città natale di una persona; la volontà di sperimentare con il suono; la dipendenza dalla sperimentazione; la fusione della natura esterna con la psiche interiore; l’interpretazione infantile del mondo che deriva dall’intraprendere viaggi psicologici a cui la maggior parte degli adulti si sottrae; la gioia di immergersi nell’assalto sonoro; la propensione a mettere in discussione gli assiomi della società; la c
reazione di paesaggi onirici che bucano le saggezze dichiarate della realtà – e così via.Dopotutto, i parolieri di ogni album, Syd Barrett e Roger Waters, erano amici d’infanzia, co-cospiratori adolescenti e collaboratori artistici, quindi il fatto che ci sia così tanto crossover tra i due non dovrebbe sorprendere. Forse, la cosa più importante nell’arte di entrambi è la consapevolezza che ogni persona ha la capacità di fare dell’inferno un paradiso e del paradiso un inferno. Soprattutto, The Dark Side of the Moon difende la nostra comune umanità e la sensazione che ognuno di noi sia talmente parte dell’altro da dover cominciare a riconoscersi l’uno nell’altro.

Ranking every song Syd Barrett wrote for Pink Floyd


Un articolo corredato di clip video (più sonori che altro) in cui si elenca la produzione di Syd Barrett per i primi Pink Floyd, anche quando non si chiamavano così. Emerge il blues, certo, ma le ultime sperimentazioni hanno aperto un mondo nuovo, in cui i suoi ex soci si sono buttato a capofitto per costruire un universo che prima era solo abbozzato.

During his brief tenure with Pink Floyd, only 22 songs written by Barrett wound up being officially released. Of those, four were recorded when the band was still known as The Tea Set in 1964, and three were shelved after Barrett left the band. Those seven songs never saw a contemporary release, with the tracks not appearing on record until after Barrett’s death. For most fans, Barrett’s entire oeuvre in Pink Floyd consisted of just 15 songs.

For this list, we’ve taken into account every song that Syd Barrett wrote that was officially released during his tenure with Pink Floyd. That includes all the material from Piper at the Gates of Dawn, ‘Jugband Blues’ from A Saucerful of Secrets, the band’s earliest singles, and material from albums compilation albums like 1965: Their First Recordings and The Early Years 1965 – 1972. Here are all of Syd Barrett’s Pink Floyd songs, ranked in order of greatness.

Pleiadees


Come ascoltare la produzione di un SydBarrett maturo e versatile al pari di un JazzClub etereo_prog: Pleiadees, ricordatevi di loro.

Inside Out – La prima autobiografia dei Pink Floyd – Recensioni – SENTIREASCOLTARE


La segnalazione di questo articolo che avevo perso, su SentireAscoltare: InsideOut, la biografia dei Pink Floyd visti da Nick Mason, il loro batterista. Vi lascio alla segnalazione:

Inside Out, ovvero la prima autobiografia dei Pink Floyd, è un libro scritto da Nick Mason, batterista della band britannica nonché – a tempo perso – pilota di auto sportive. Il testo è uscito in origine nel 2004, ma la versione di cui vi parliamo in questa sede è quella pubblicata in inglese – aggiornata con gli eventi occorsi successivamente a quell’anno – nel 2017, e poi ristampata in italiano da EPC Editore a novembre 2018. Tanto per dire che nonostante di questo libro si sappia già molto, rimane comunque una lettura assai piacevole sia per i fan del gruppo che per i meno addentro alle questioni pinkfloydiane.

Pur essendo una “fonte diretta”, Inside Out non è un libro caratterizzato da un approccio enciclopedico: dentro non ci troverete ogni minuto vissuto – nemmeno troppo pericolosamente – dalla formazione britannica. Crediamo volutamente, visto anche l’aplomb tipicamente british con cui Mason tratta soprattutto le questioni più spinose legate alla storia dei Floyd (due su tutte: l’estromissione dal gruppo di Syd Barrett e la separazione conflittuale tra Roger Waters e il trio Mason/Wright/Gilmour più o meno da The Wall in avanti), evitando così di mettere in piazza troppi dettagli – del resto è lui stesso a informarci che una volta finito di scriverlo, il libro ha passato il vaglio e le aggiunte/correzioni dei compagni di lungo corso. I pregi di Inside Out stanno altrove, per esempio in una scrittura ironica e fluente capace di raccontare le fasi salienti dell’ascesa di uno dei gruppi più seguiti al mondo con una verve degna d’un romanziere, e come se fosse la storia di una formazione emergente qualsiasi salita alle cronache quasi per caso: sembra di vederlo, il buon Mason, mentre al pub, tra una pinta e l’altra, ti racconta sghignazzando di quando si spezzarono i tiranti che tenevano fermo il maiale gigante gonfiato a elio che si doveva fotografare per la copertina di Animals, e il suddetto viaggiò autonomamente per i cieli britannici evitando solo per pura fortuna di causare possibili incidenti aerei. Un po’ come se fosse stata una bravata da ragazzini, e non un evento che dimostra l’intraprendenza, il coraggio artistico di un gruppetto di inglesi interessato alla tecnica applicata a ogni campo – del resto i Nostri studiavano architettura – almeno quanto alla musica.

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SYD BARRETT: “HERE I GO” – LA STORIA DIETRO LA CANZONE | PINK FLOYD ITALIA


Su PinkFloydItalia i retroscena di una delle song meno conosciute di Syd Barrett: Here I Go. Lascio al post le spiegazioni e rivelazioni nel dettaglio, che mostrano ancora più nel dettaglio cos’era Syd – sotto, il brano remixato da Gilmour con l’aggiunta del basso.

In occasione del compleanno di Syd Barrett, il sito ufficiale ha pubblicato la storia di una delle canzoni più belle di Syd, “Here I Go“, in cui si svelano anche diversi retroscena. A scriverli, è Lee Harris, chitarrista e cofondatore dei “Saucerful Of Secrets” di Nick Mason. Per celebrare questo giorno speciale abbiamo un’esclusiva “storia dietro la canzone”, scritta da Lee Harris – fondatore e chitarrista dei “Nick Masons Saucerful of Secrets”.
Scrivendo di ‘Here I Go’, Lee ha scoperto alcune vere e proprie rivelazioni sulla registrazione della canzone. Anche David Gilmour ha contribuito a questa scoperta.
Godetevi questo articolo e condividetelo per far sì che altri si divertano e ascoltino la canzone!

“Here I Go” è contenuta nell’album The Madcap Laughs e fu registrata il 17 aprile 1969 ad Abbey Road nello Studio 2. Secondo il compianto Malcolm Jones, che produsse la canzone, Syd ci mise “una manciata di minuti” a scriverla.
Tuttavia, Joe Boyd ricorda di aver sentito la canzone su un nastro demo nel 1967 e che originariamente si chiamava “Boon Tune” – la frase “what a boon this tune” è infatti parte del testo. Boyd stava producendo una band chiamata ‘The Purple Gang’ nello stesso periodo in cui lavorava con i Pink Floyd su “Arnold Layne”. Syd aveva proposto “Boon Tune” a Joe Boyd e ai ‘Purple Gang’ come loro prossimo singolo, ma la loro casa discografica non era d’accordo con il coinvolgimento di altri autori/editori, così l’idea fu accantonata – anche se ne pubblicarono una versione molti anni dopo.
Il fatto che la canzone fosse già stata scritta almeno due anni prima di essere registrata spiega probabilmente perché Jones presumeva che ci fossero voluti pochi minuti per scriverla. Credo che quei minuti siano serviti a Syd per ripassarla a mente per ricordarsela.
Malcolm Jones ha anche detto che Syd aveva quasi sempre con sé i testi su un supporto, in caso di occasionali vuoti di memoria. Questa è stata l’unica volta in cui ricordo che non aveva alcun foglio di testo”. Forse ha anche cambiato qualcosa, ma non lo sapremo mai perché il nastro demo non esiste più.
Mentre scrivevo questo pezzo, ho contattato il batterista Willie Wilson, accreditato come bassista della canzone. Willie viene da Cambridge e suonava nei Jokers Wild, la band in cui militava David Gilmour prima dei Pink Floyd (in seguito avrebbe suonato la batteria insieme a Nick Mason nel tour di “The Wall”). Willie mi ha raccontato di non aver conosciuto Syd quando era piccolo, ma di averlo conosciuto quando ogni tanto si alzava e suonava ai concerti dei Jokers Wild. La band finì addirittura per suonare nello stesso cartellone dei Floyd, che erano ancora noti come ‘The Tea Set’, insieme a un allora sconosciuto Paul Simon, alla festa di un amico nel 1965.
Nel 1969, mentre si trovava nell’appartamento di David Gilmour a Earls Court, Syd chiese a Willie di andare a Abbey Road per registrare con lui qualche giorno dopo.
Risulta che le note di copertina dell’album e, successivamente, vari libri attribuiscono i crediti in modo errato. In realtà è Willie a suonare la batteria e non Jerry Shirley (famoso batterista degli Humble Pie) e non c’è alcun basso nel brano. Questo è probabilmente ovvio all’ascolto, ma le note di copertina dichiarano il contrario.
Willie – “Dopo che abbiamo registrato due o tre brani, è stato suggerito che il basso avrebbe potuto suonare bene su di esso. Non c’era nessun bassista, ma Jerry, con cui condividevo l’appartamento e che era venuto con me per il viaggio, disse che avrebbe potuto fare un tentativo. Non so da dove provenisse il basso, ma era Abbey Road, con molti ‘armadietti per le attrezzature’. Jerry ha avuto difficoltà a suonare sul brano perché c’erano solo batteria e chitarra, Syd non suonava gli stessi accordi in ogni strofa e inoltre Jerry non era un bassista”.

welcome to the machine / pink floyd [alternate take] | slowforward


Dal blog slowforward una versione demo, ma molto intrigante, di Welcome to the machine dei Floyd. Stupenda, molto.

Pink Floyd-Corporal Clegg, 1968 – Il Canto delle Muse


Interessante la storia che c’è dietro il brano Corporal Clegg dei Floyd, anno ’68, mentre Barrett stava andando via. Ce ne parla il blog CantoDelleMuse:

Waters era uno dei tanti orfani di guerra che negli anni ’60 stavano facendo i conti con il passato. Antimilitarismo e dolore personale (nel testo si cita l’anno della morte del padre, il 1944) si esternano in forma sarcastica grazie a un testo pungente e irriverente sui controversi schemi mentali dell’esercito, attraverso la figura di un fantomatico caporale Clegg.
Waters: “Corporal Clegg parla di mio padre e del suo sacrificio nella Seconda Guerra Mondiale. C’è un qualcosa di sarcastico: l’idea che la gamba di legno sia un premio che vinci in guerra, come una specie di trofeo”.
Il caporale Clegg ha perso la gamba durante una battaglia ed è costretto a vivere con una protesi di legno (“l’ha vinta in guerra, nel 1944”). Per questo sacrificio immagina di aver ricevuto una medaglia (“color arancio, rosso e blu, l’aveva trovata allo zoo”) e sogna di riceverla dalle mani della regina. Non è dato sapere se il bassista abbia utilizzato colori di fantasia, in ogni caso la medaglia di quel colore era conosciuta come “Burma Star”, attribuita dal British Commonwealth ai reduci della guerra di Birmania. Alla moglie del caporale Clegg, afflitta da alcolismo, Waters chiede se sia orgogliosa del marito, invitandola a concedersi “un altro goccio di gin”.
Le frasi “He won it in the war… in orange red and blue… he’s never been the same… from her Majesty the Queen” rappresentano uno dei rari contributi vocali di Nick Mason. Il brano è infatti uno dei pochi momenti musicali in cui cantano tutti i componenti del gruppo; la voce principale è quella di Gilmour, mentre la parte parlata è affidata a Mason. Ai cori partecipano praticamente tutti e quattro insieme. Sul finale della canzone Nick Mason ripropone la sua voce attraverso una serie di frasi nonsense che rafforzano la sensazione di un caos conclusivo premeditato: alle ripetizioni corali di “Corporal Clegg” il cantato esplode in una fragorosa risata.

Non è chiaro se Waters avesse tratto il nome della canzone da un film americano, Captain Clegg (noto anche come Night Creatures, in Italia Gli spettri del Capitano Clegg). Thaddeus von Clegg era anche il nome dell’inventore del kazoo, strumento che viene usato in due diversi momenti della canzone (finale compreso, dove viene coperto dal suono di una sirena di guerra). I Floyd potrebbero essersi ispirati ai Beatles, che simularono il suono del kazoo in Lovely Rita usando un pettine intorno al quale avevano arrotolato la carta igienica personalizzata della EMI (aveva infatti la scritta “Property of EMI” stampata sopra!).
Il Record Mirror del 10 febbraio 1968 annunciò che la canzone era quasi completata e che sarebbe stata pubblicata nel giro di quattro settimane. Notizia peraltro non vera, poiché la sua registrazione richiese più tempo.

Il filmato del brano, registrato negli studi della RTB TV di Bruxelles il 18 e 19 febbraio 1968, fu trasmesso il 31 marzo: la band eseguì in playback una versione embrionale della canzone (tutt’ora inedita) in anteprima rispetto alla pubblicazione del disco, trasmessa in vari periodi da diversi canali televisivi. Il 22 luglio 1969 i Pink Floyd furono ospiti del programma per ragazzi P-1, alla TV tedesca SDR, ed eseguirono la canzone nuovamente in playback. Questo filmato promozionale aveva come tema la guerra; la band era ripresa a tavola, con Gilmour a fare le veci del cameriere. I Floyd portavano elmetti militari in un clima che in breve tempo si trasformò in una battaglia a suon di lanci di cibo e torte in faccia, in cui vennero coinvolti anche gli incolpevoli cameramen. A queste scene la regia contrappose alcuni filmati di guerra. “

Pink Floyd – Let There Be More Light (‘Surprise Partie’)


Un documento d’epoca, parliamo del ’68. I Floyd ancora incerti sul loro futuro postbarrettiano, ma già incisivi – parecchio.

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