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Archivio per Villa Diodati

Il vampiro di Polidori diventa un fumetto con NPE | FantasyMagazine


Su FantasyMagazine la segnalazione di una pubblicazione particolare per Nicola Pesce Editore: Il vampiro, di John Polidori, in edizione fumetto. Imperdibile!

Il racconto venne pensato durante la notte del 16 giugno 1816 a Villa Diodati, sulle rive del lago di Ginevra, dove John Polidori stava soggiornando insieme a lord Byron e a un gruppo di letterati e intellettuali, tra cui Percy Bysshe Shelley e sua moglie Mary. Ispirati dalla lettura di un vecchio volume di novelle fantastiche dal titolo Fantasmagoriana, alcuni di loro diedero vita a una “scommessa” letteraria: ognuno avrebbe scritto un racconto fantastico. Fu proprio quella notte che nacquero Frankenstein di Mary ShelleyIl Vampiro di John Polidori, opere che getteranno le basi per lo sviluppo di moderni generi letterari quali la fantascienza, l’horror e il romanzo gotico moderno. Riprendendo spunti accennati da Blake, Coleridge e Wordsworth e unendoli a elementi del folklore europeo, John Polidori, infatti, plasma la figura del succhiasangue a oggi più conosciuta: quella dell’affascinante e diabolica creatura dai modi aristocratici che cerca le sue prede nell’alta società.

A Torino la Festa delle ombre lunghe | Fantascienza.com


Su Fantascienza.com la segnalazione della Festa delle ombre lunghe, un evento che si svolgerà a Torino in questo weekend, dall’8 al 10 giugno, con molti ospiti e appuntamenti. Ecco i dettagli di quest’intrigante avvenimento dedicato al mondo del Fantastico.

Il Club Villa Diodati, coordinamento di tre realtà torinesi votate al fantastico, all’insolito e al visionario (MuFant – MuseoLab del Fantastico e della Fantascienza, TOHorror Film Fest, e Libera Università dell’Immaginario) organizza la seconda edizione della Festa delle ombre lunghe.

Tre giornate di incontri, mostre, proiezioni, performance teatrali con ospiti di primo piano sul filo rosso che collega il cinema, l’illustrazione e la letteratura di genere fantastico.

La ricorrenza dei compleanni di tre mattatori degli schermi, Peter Cushing, Christopher Lee e Vincent Price (protagonisti insieme di La casa delle ombre lunghe) è occasione di ricapitolare un’epopea transmediale fatta di storie fantastiche che attraversano linguaggi diversi – dalla letteratura al teatro, alla radio, a grandi e piccoli schermi – e di mostrarne la plasticità e l’influsso sui miti collettivi in un proficuo raccordo tra cultura “bassa” e “alta”.

200 anni di terrore con Frankenstein | Fantascienza.com


Su Fantascienza.com, nell’ambito di Delos 197, un interessante excursus di Carmine Treanni su Frankenstein che aiuta a inquadrare un po’ tutta la questione creativa nel duecentenario della pubblicazione dell’opera.

Al di là dell’attribuzione del romanzo della scrittrice inglese fra quelli che hanno contrassegnato la science fiction, resta il fatto che Frankenstein segna la rottura con il romanzo gotico del 700, di cui è comunque figlio, e apre la strada ad una letteratura più attenta alla realtà in cui nasce e alla scienza, tanto che si può affermare non solo che è il romanzo che segna l’apice della cosiddetta rivoluzione scientifica, ma è anche il romanzo simbolo della rivoluzione industriale, che proprio in quegli anni muoveva i suoi primi passi.

Frankenstein è, dunque, allo stesso tempo il primo testo narrativo che utilizza l’impulso d’una scienza in piena espansione, ma è anche l’ultimo esempio di quella letteratura che si nutriva di storie tormentate e ricche di eventi sanguinari o profezie di sventura, di ambientazioni cupe e lugubri, di personaggi soprannaturali. Questi due elementi convivono e sono simbolicamente rappresentati dai due protagonisti del romanzo: il Mostro e lo Scienziato.

Vale la pena ricordare, seppur note, le circostanze entro le quali prese forma il romanzo: nell’estate del 1816 Mary e il marito, il poeta Percy Bysshe Shelley, si recarono a Villa Diodati, la residenza che Lord Byron aveva affittato sul lago di Ginevra. Qui, per ingannare la noia di un’estate piovosa, i tre si diedero alla lettura di storie di fantasmi; la cosa li ispirò a tal punto che decisero di imitarne il genere. I tre intavolarono una discussione riguardante il “segreto della vita”, ovvero su alcuni esperimenti condotti dal fisico Erasmus Darwin, nonno del più famoso Charles, che aveva infuso nuova vita, grazie all’elettricità, in un gruppo di piccoli vermi. Sempre di quel periodo sono gli esperimenti di Galvani, che con la sua pila era in grado di far contrarre i muscoli di una rana morta. Tutti questi fatti affascinarono e influenzarono Mary Shelley, tanto che, durante la notte, ebbe un incubo nel quale immaginò un uomo animato da una macchina. Al mattino riportò su carta il suo sogno e, incoraggiata dal marito, ne tirò fuori un romanzo che diventò famoso in tutto il mondo con il titolo di Frankenstein o il Prometeo moderno.

Lankenauta | Mary Shelley e la maledizione del lago


Su Lankenauta la biografia di Mary Shelley, Mary Shelley e la maledizione del lago, a cura di Adriano Angelini Sut. Opera monumentale, che analizza la vita e l’arte di Mary.

La sua vita cambia rapidamente quando incontra l’amore della sua vita: Percy Bysshe Shelley, giovane e bello, nobile (anche se ha rinunciato al titolo), affascinante poeta, ribelle e originale. Sarà uno dei massimi poeti del Romanticismo.

Mary ne viene subito conquistata, i due fanno l’amore presso la tomba di Mary Wollstonecraft, quasi a chiedere protezione al suo spirito. Lui è un uomo sposato con due figli, lei una ragazzina sedicenne. In breve fuggiranno insieme, portandosi dietro anche Claire, la sorellastra di Mary, con la quale ella si rassegnerà a condividere l’amore del poeta.

Saranno anni belli e terribili fatti di spostamenti, difficoltà economiche, lotta contro pregiudizi, maldicenze, beghe familiari, maternità tragiche. Mary ebbe quattro gravidanze: tre bambini nacquero ma morirono in tenerissima età, il quarto fu un aborto spontaneo. Solo un quinto figlio sopravviverà, Percy Florence, così chiamato in onore della città di Firenze.

Percy la lascerà spesso sola, la tradirà, era uno spirito irrequieto e ipersensibile. Mary lo amò alla follia, spesso soffrendo.

1000° post: adunanza connettivista a Torriglia! | NAZIONE OSCURA CAOTICA


Come detto sul blog della NazioneOscura, nel prossimo weekend i connettivisti si ritroveranno a “Villa Kremo”, presso Torriglia in provincia di Genova, nella residenza presidenziale del Presidente della Nazione Oscura ed editore di Kipple Officina Libraria, Lukha B. Kremo.

Come in tutte le cose complicate e articolate, i contorni di una e dell’altra entità si mischiano, così i connettivisti sono in buona parte nell’organico della NazioneOscura mentre essa ha nella sua linea governativa elementi esterni al Movimento; la casa editrice, poi, è un coacervo degli uni e degli altri, ma osserva una linea editoriale autonoma e spesso non coincidente con nessuna delle altre due entità artistico_creative_politiche.

In tutto ciò, nel prossimo weekend ci si ritroverà a numero chiuso per una sorta di NeXT-Con privata, da cui

da questi tre giorni usciranno le nuove decisioni prese, che saranno presto diramate.

Le decisioni, ovviamente, riguarderanno la triade di entità che nemmeno gli schizofrenici potrebbero gestire con giusta integrità referenziale e mentale; e sì, sarà un delirio tale che Villa Diodati impallidirà al solo confronto. KeepTalking!

Il paletto di frassino e il telegrafo (vampiri e delinquenti fermati dal progresso) – Carmilla on line


Su CarmillaOnLine un bell’excursus sui miti del Fantastico, nella fattispecie Frankenstein e Dracula e la sua corte pregressa e soprattutto successiva di vampiri, passando per Villa Diodati. Da non perdere…

Nell’immaginario comune – frutto della lettura di svariati testi e della visione di pellicole – la figura del vampiro, dandy byroniano o melanconico malato d’amore, ha un punto debole: il cuore. Lo stesso punto debole che il lettore-spettatore fa suo nella consapevolezza che solo il paletto di frassino, piantato nel cuore dormiente del non-morto, possa arrestare le sue malefatte e annientare quella tristissima non-vita che, in qualche modo, è costretto a portare avanti; il paletto di frassino nei confronti del vampiro assume lo stesso peso dell’argento (fuso in pallottole o coltelli) nel contrastare il licantropo o lupo mannaro che dir si voglia.
In buona parte delle trasposizioni filmiche – mi vengono in mente soprattutto certe pellicole della Hammer – il finale, la chiusura del cerchio delle peripezie, insomma il ritorno all’ordine dopo l’incidente narrativo interno all’intreccio (consistente nelle morti che il vampiro provoca), vengono sempre sciolti tramite l’espediente del paletto di frassino; quando il re delle tenebre è ancora a riposo nella sua bara, Van Helsing e compagni, armati di paletto, croci e martello, fanno irruzione nei sotterranei della sua dimora al fine di piantare l’aguzza arma nel cuore – già morto ma “vivo di non-vita” – del conte Dracula, magari un Christopher Lee nel meglio dei suoi anni, un conte già più decadente di quello che impersonò Bela Lugosi nel film di Browning del 1931 ma ancora assai distante dal Gary Oldman di Coppola, cilindro e bastone, flâneur baudelairiano da un lato, rilkiano Malte Laurids Brigge dall’altro.
Non è da sottovalutare il fatto che il romanzo epistolare di Bram Stoker, sicuramente a livello commerciale il più conosciuto tra quelli che hanno per protagonista la figura del vampiro, viene edito a fine Ottocento, per la precisione nel 1897; questo a testimoniare che lo scritto è in parte distante dai classici del gotico anglosassone (per intenderci, le opere di Walpole, della Radcliffe, di Lewis).
Non a caso Dracula è forse davvero il canto del cigno del romanzo gotico, non senza fondamento si discosta dunque anche dalla narrazione di Polidori (quest’ultimo autore di un lungo racconto sulla figura del vampiro, in cui modella il suo Lord Ruthven nientemeno che sulle sembianze dell’amico Byron; racconto che nasce nella stessa infernale sera di Villa Diodati, quando Mary Shelley avrà l’intuizione per il suo moderno Prometeo, ossia Frankenstein).
Per inciso va specificato che quasi nulla della figura del vampiro creata da Stoker penetra nelle pellicole cinematografiche: in queste ultime è sempre la malattia d’amore di un dandy decadente a reggere il filo della matassa, assai spesso lo spettatore è quasi complice involontario del villain, laddove nel romanzo di Stoker è il fetido alito del conte a farla da padrone, il ribrezzo che provoca in coloro che a lui s’accostano, l’inquietante cattiveria che sprigiona la sua figura.
Orbene se il romanzo della Shelley (anno di grazia 1818) narra la dimostrazione di un malsano uso della scienza e del progresso (Victor Frankenstein cerca di “creare”, e ci riesce, una creatura assemblando – quasi in maniera grottesca e avventurosa – pezzi di vari cadaveri saccheggiati dai cimiteri durante la notte), possiamo forse negare che il progresso – rappresentato dal telegrafo nel romanzo di Stoker – non sia invece ciò che permette agli umani di anticipare le mosse del vampiro?
Credo proprio di no; da un lato – nel caso della Shelley – la creatura a cui lo scienziato dona la vita (più che vita forse “esistenza” materiale) finisce per assumere connotati romantici di diseredato, con nobili pensieri e sensibilità accentuata, una creatura verso cui il lettore prova una forma – oserei dire “dostoevskijana” – di compassione; dall’altro lato il vampiro – che pure furoreggia come simbolo estremo del mal d’amore nell’estetica romantica, emblema del cuore spezzato – carne, morte e diavolo nel medesimo corpo (per citare il fondamentale saggio di Mario Praz), ma comunque “egoista” nel rendere non-morti altri soggetti.
Insomma la Shelley crea una vittima frutto dell’uso macabro, malato, “egotico” della scienza; Stoker, invece, è già più moderno nel dare al conte gli attributi (già post-romantici) dell’eroe satanico, del “morto io, morti tutti”; è pur vero che Dracula subisce un mal d’amore di dimensioni elefantiache, è altrettanto vero però che questo si tramuta nella volontà distruttrice di potenza nei confronti del genere umano.
Detto ciò e ritornando sui nostri passi è dunque il telegrafo che anticipa le mosse del vampiro; qualcuno potrebbe obiettare e chiedersi come sia possibile ciò, visto che in teoria un essere soprannaturale come il vampiro ha facoltà telepatiche (e Dracula le aveva!) che dovrebbero allegramente infischiarsene del progresso e della scienza; eppure a una minuziosa analisi del romanzo è proprio questo che risulta. Il vampiro è sconfitto dal telegrafo, non certo dal paletto di frassino (o almeno non solo da esso). Il paletto è la pratica, il telegrafo la teoria.

Villa Diodati. Il ritorno del clima oscuro – Carmilla on line


Su CarmillaOnLine continuano le celebrazioni al bicentenario di Villa Diodati, che cade proprio in questi giorni. Stavolta DaniloArona ci mette del suo, scavando nella materia metafisica.

È appena scoccato l’anniversario del bicentenario della Notte in cui nacque il Gotico a Villa Diodati sul lago di Ginevra (16 giugno 1816) ed è sotto gli occhi del mondo la notevole analogia tra la cosiddetta “estate infestata” di allora e l’attuale pessimo clima, caratterizzato da un inizio d’estate quanto mai capriccioso e piuttosto freddo. Purissimo caso e, se la parola “Caso” è sempre l’anagramma di “Caos”, non va dimenticato che la notte della grande sfida tra Byron, Polidori, i due Shelley e la Clairmont resta una convenzione dall’intrigante sapore di leggenda. Ma non fu affatto leggendario il singolare, per non dire unico, contesto storico e climatico di quella riunione. E il particolare effetto Farfalla che lo caratterizzò.

Si legge spesso che il cattivo tempo e il pessimo clima di quell’estate potrebbero configurarsi come fattori determinanti della nascita di Frankenstein e de Il vampiro. Concordiamo, ma si può andare oltre. Il 1816 infatti fu uno degli anni più disgraziati e crudeli della storia del genere umano, definito per lunghi anni a seguire nel folclore europeo “l’anno della miseria” o “l’anno senza estate”.

Era certo inizio estate sul calendario, ma su tutta quanto il pianeta pesava un’autentica atmosfera di Apocalisse. La stagione era dovunque rovinosa e piovosa oltre ogni dire, tempestosa e freddissima: la causa dell’inusuale fenomeno era da ascriversi all’eruzione del vulcano Tambora nell’isola indonesiana di Sumbawa, in Indonesia, avvenuta nell’aprile dell’anno precedente.

Il golem di Victor, come venne al mondo (Nightmare Abbey 9) – Carmilla on line


Su CarmillaOnLine il festeggiamento del bicentenario di Villa Diodati, dove nacque il Fantastico moderno. Esattamente il 18 giugno 1816.

[“Cominciato la mia storia di fantasmi dopo il tè”, scrive nel proprio diario alla data 18 giugno 1816 John William Polidori: e ai giorni immediatamente precedenti risale la famosa sfida letteraria idealmente a monte del fantastico moderno. Duecento anni dopo la fatale vacanza a Villa Diodati si propone qui un brano dai testi di ‘TuttoFrankenstein’, un ciclo di incontri a Torino sul romanzo di Mary Shelley conclusosi appropriatamente nella serata del 17 giugno: il passo qui commentato riguarda la scena del destarsi della Creatura. Per la traduzione utilizzo l’edizione Einaudi 2011.]

The Vampyre | SherlockMagazine


Su SherlockMagazine la storia del Vampiro di Polidori e di tutto l’annesso di Villa Diodati, che ha visto nascere il Fantastico moderno e il Weird.

Polidori seguì il celebre autore nei suoi viaggi attraverso l’Europa e compose l’opera che avrebbe tanto influenzato la figura del vampiro proprio durante un soggiorno in Svizzera, nella casa che Byron aveva affittato presso il lago di Ginevra. Qui Byron aveva anche invitato un altro famosissimo autore, Percy Bysshe Shelley, e la sua futura moglie Mary Wollstonecraft, nonché la sorellastra di quest’ultima, Claire Clairmont (una delle svariate amanti di Byron).

A causa del maltempo, i cinque scrittori furono costretti a rimanere chiusi in casa, svagandosi con la lettura di alcune opere della letteratura gotica. Fu proprio in conseguenza di queste letture che Byron propose ai suoi ospiti di cimentarsi in un’inconsueta sfida letteraria: ognuno di loro avrebbe dovuto scrivere una storia di fantasmi da leggere al resto del gruppo la sera successiva. Soltanto due dei presenti riuscirono a portare a termine questo compito e comporre un buon racconto: Mary Wollstonecraft, come tutti sanno, creò Frankenstein e la sua creatura, mentre Polidori scrisse quello che qualche anno dopo sarebbe stato pubblicato come Il Vampiro, ispirandosi tuttavia al frammento composto da Byron nel corso della medesima sfida.

Il Lord Ruthven creato da Polidori rappresentò una vera rivoluzione nell’immaginario vampiresco: abbandonando completamente il mostro delle leggende popolari, questo nuovo non morto si basava sul modello del “byronic hero”, l’eroe tenebroso e maledetto, circondato da un alone di fascino e mistero, creato da Byron. Lord Ruthven pare in effetti un vero e proprio alter ego del celebre autore: il suo stesso nome è stato tratto dal romanzo gotico Glenarvon di Lady Caroline Lamb, ex amante di Byron, il quale era stato il modello su cui si era basato anche il personaggio Glenarvon. Il racconto venne pubblicato nel 1819 sul New Monthly Magazine, ma venne erroneamente attribuito a Byron, il quale, nonostante ne avesse smentito la paternità, non riuscì mai a fare attribuire all’amico il merito di aver composto Il Vampiro.

Una lanterna magica a Villa Diodati (Nightmare Abbey 6) – Carmilla on line ®


Questo post di CarmillaOnLine è folgorante, vi si racconta uno degli apici della letteratura romantica, forse il momento di più alta creatività che questo genere ha espresso in tutta la sua storia e a cui tutti noi del Fantastico siamo legati:

Quasi duecento anni fa (1816, il bicentenario è imminente) in una villa sul lago di Ginevra (Villa Diodati) nasceva per una sorta di scommessa il fantastico moderno: ma a spingere Percy Bysshe Shelley e la partner Mary, Lord Byron e il medico Polidori alla famosa decisione di scrivere storie fantastiche era stato l’incontro con un libro di ghost stories tedesche, Fantasmagoriana.

Ecco, l’articolo di Franco Pezzini mi stimola riflessioni e mi spinge a ricordare le mie radici culturali, alcune delle mie radici culturali, e mi sento parte di una grande famiglia, un’altra.

Uscita nel 1812 a Parigi per i tipi del libraio alsaziano Friedrich Schöll, a cura di “un Amateur” dietro cui si cela l’erudito geografo Jean-Baptiste Benoît Eyriès – autore dell’intrigante Prefazione – Fantasmagoriana presenta testi di vari autori tedeschi. A cominciare da quel Johann Karl August Musäus ricordato oggi soprattutto per una raccolta di fiabe germaniche (1782-1786) antesignana di quella dei Grimm, e alla quale attingeranno Lewis per The Monk (particolarmente la celebre storia della monaca insanguinata), Washington Irving per The Legend of Sleepy Hollow e persino Čajkovskij per Il lago dei cigni. In effetti il lungo racconto Amore silente di Musäus è essenzialmente una gradevole fiaba a tema amoroso, anche se Eyriès vi appone il sottotitolo Aneddoto del sedicesimo secolo in qualche modo “storicizzandola”. Non dirò se il sovrannaturale, qui come negli altri racconti, sia vero o fasullo: li troviamo entrambi equamente distribuiti, a volte persino nella medesima storia, e del resto la vocazione illusionistica e almeno potenzialmente farlocca è patente fin del titolo della raccolta. La fantasmagorie – all’epoca neologismo costruito sulle parole phantasma (fantasma/immagine/illusione) e “allegoria” – è infatti la lanterna magica, o meglio la sua evoluzione a fini di spettacolo, e votata a un Terrore che trasuda ancora dei fiati della Rivoluzione francese.

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