Su PostHuman.it una bella recensione a un bel film di vampiri che sta imperversando nelle sale in questi giorni: Solo gli amanti sopravvivono, di Jim Jarmusch.La consueta verve di Mario “Black M” Gazzola sottolinea la bontà della pellicola, come si può evincere dal passo sottostante: ho davvero voglia di vedere quest’ennesima interpretazione del mondo vampiresco.
L’amore fra i due secolari vampiri Adam (Tom Hiddleston) ed Eve (Tilda Swinton, ma notate i nomi!), inseparabili dal Medioevo o giù di lì, anche se oggi lui è un cripto rocker a Detroit e lei cultrice di libri a Tangeri, spinge Eve a tornare dal tenebroso coniuge sentendolo più depresso del solito, temendone le tendenze suicide (vedi foto a sinistra). Non fa a tempo a tirarlo su, che la di lei sorella minore, Ava (Mia Wasikowska, l’Alice di Burton, nella foto sotto a destra), vampirella scapestrata e indocile alle regole del clan, mette in pericolo il loro anonimato succhiando a morte il sangue di un conoscente di lui. Bisogna far sparire il suo corpo e, poi, anche il proprio, prima che qualcuno cominci a far troppe ricerche…
Come in ogni film di Jarmusch, la trama è – oltre che lenta e narcolettica – tutto sommato secondaria rispetto al quadro d’ambiente e all’atmosfera, finanche ai dettagli “di stile”, che veicolano il vero significato del film: una struggente nostalgia per un mondo che pare al tramonto, quello della bellezza e di emozioni sottili, che la società degli “zombie” (nulla di classicamente orroristico, nel film non sono diversi dagli esseri umani, anzi siamo proprio noi gli zombie, infatti significativamente la qualifica viene applicata alla gente di Los Angeles, Mecca del cinema mainstream USA, e ai discografici!) sta progressivamente corrompendo e distruggendo.
Film delicato (e per nulla horror nel senso classico del genere), a dispetto dell’immaginario gothic che sfoggia, Solo gli amanti sopravvivono riesce fra l’altro – come se fosse poca cosa – nell’arduo compito di porre una nuova pietra miliare nel campo delle declinazioni davvero originali dell’immortale mito del vampiro in tempi moderni: dark rocker che farebbero pensare a Miriam Si Sveglia A Mezzanotte, emarginati come quelli de Il Buio si Avvicina della Bigelow (come tutti i personaggi del regista), malinconici e sofferenti come quelli di The Addiction (ma senza il dualismo Bene/Male di Abel Ferrara, qui in un certo senso sono loro il Bene), come questi ultimi bevono sangue un po’ come se si drogassero (la loro estasi ricorda tanto un trip).
Ma, soprattutto, i vampiri di Jarmusch mettono in luce (o se preferite in ombra) un’inedita sfaccettatura della loro condizione non-umana: una malinconica, strenua preservazione della bellezza, dell’arte (e persino della scienza, si parla di entanglement quantistico e di scienziati mesi al rogo), di cui sono estenuati ma appassionati cultori, fin sulla soglia della dissipazione cui è l’umanità-zombie che sta condannando il proprio mondo: ambiente inquinato, sangue contaminato, teatri trasformati in parcheggi, una Detroit notturna, desolata “città fantasma” come tutti i non luoghi in cui Jarmusch ambienta le proprie storie.
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