Il bravo Alessio “Galessio” Brugnoli ha redatto un post in cui traccia le differenze tra i vari sottogeneri del Fantastico e soprattutto SF in cui compare il suffisso punk; eccovi questo Bignami della nuova Fantascienza del Duemila e passa: mirabile…
Nel Sandalpunk, che può essere fracassone come un peplum o colto e misurato, rivive, nelle sue contraddizioni, il mito atemporale della classicità e della centralità dell’Uomo, intriso di eroismo etico e di equilibrio tra Natura e Cultura.
Nel Clockpunk, invece, la chiave di lettura dominante è lo stupore dinanzi alle infinite possibilità della tecnica.
Nello Steampunk dominano le contraddizioni del positivismo, con la lotta tra uomo e teknè alienante, che tende a ridurre ogni individuo in alienato meccanismo.
Nel Nouveaupunk – così mi piace definire con un pizzico di civetteria la mia narrativa – vige invece la malinconia di un’epoca che muore nella sensazione della tragedia imminente e ineluttabile contro cui gli uomini, senza speranza di riuscire, sono certi della sconfitta. In cui il sogno del Bello nasconde malamente la consapevolezza di una realtà industriale sempre più aliena dall’umano.
Il Dieselpunk, invece, è la realizzazione delle riflessione di Heidegger e di Severino sulla tecnica, viste come nascondimento e rifiuto dell’Essere, dato che il Reale si identifica in ciò che può essere dominato e utilizzato. E questo vale anche per l’Individuo, non più soggetto, ma oggetto del controllo dello stato totalitario.
E questa disperazione, che però dà sicurezza, è un’ancora in cui aggrapparsi nelle tempeste del Reale e si muta in malinconia, quando tutto è perduto: quando non rimangono che rovine e sogni, aperture al mistero dell’essere, siamo nell’Atompunk, in cui rinasce lo stupore dinanzi alle opere dell’Uomo, lo stesso che nasce osservando quel che rimane del Buran.
Aggiungo: in tutto ciò, il punk delimita l’approccio proprio del Cyberpunk e del Punk con un anarchismo di fondo, in cui la caoticità urbana e la sporcizia sociale danno derive da suburbi.
Rimango “punkizzato” da questo splendido vademecum, utilissimo nell’attuale junglepunk in cui ci sono più generi che romanzi, dove da ogni liana-punk penzola un innovatore in cerca di ufficializzare il suo genrepunk.
È incredibile come un genere cronologicamente brevissimo come il cyberpunk abbia lasciato un’eredità culturale così vasta ed inarrestabile, soprattutto nel nostro Paese: abbia cioè lanciato il meme della desinenza -punk da aggiungere a qualsiasi cosa. Battezzerei questo memeplesso “memepunk“.
La descrizione dei generi mi è piaciuta molto di più dei racconti che mi è capitato di leggere ad essi appartenenti, e la mia impressione – del tutto soggettiva e sicuramente superficiale – è che l’impegno nel pensare al genere va a discapito della narrazione, come se un autore steampunk stesse più attento a quanto “vapore” mette nella storia e meno alla storia stessa. D’altronde il rischio concreto di un critico che si alzi e dica “non c’è abbastanza vapore per considerarlo steampunk” è sicuramente dietro l’angolo.
In fondo anche quando non esistevano i generi, se non per larghe somme (tipo fantascienza, fantasy, horror, per intenderci) c’erano autori che badavano bene a queste cose. Roger Zelazny riuscì a vendere a ben tre antologie un suo racconto perché ci infilò dentro i tre elementi che i vari editori cercavano: è stato furbo e “La variante dell’unicorno” è intrigante per questo… ma rimane una lettura noiosa, perché si vede che l’autore pensava ai tre singoli elementi e non al racconto completo, che oggi sarebbe etichettato unicornpunk. Ecco, spero che i puristi non cadano nel trucco del genrepunk, dove l’etichetta è più importante di ciò che è etichettato.
Finito il pippone, ribadisco che il pezzo l’ho molto gradito e lo userò per interpretare i vari -punk che incontrerò ^_^
"Mi piace"Piace a 1 persona
ahahahah sei un grande!! 😀
grazie, anche a nome del brugnoli 😀
"Mi piace"Piace a 1 persona