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Archivio per Andrea Scarabelli

Arthur Machen: l’apprendista stregone di autori vari – Club GHoST


Sul ClubGhost la recensione di Cesare Buttaboni a “Arthur Machen, l’apprendista stregone”, saggio multiautoriale che indaga la figura del seminale scrittore gallese di weird, intriso di un paganesimo che è salutare di questi tempi – anche in altri, a dirla tutta.

libretto appena pubblicato da Bietti a cura di Paolo Mathlouthi (che comprende tre interessanti saggi di Alessandra Colla, Marco Maculotti e Andrea Scarabelli) confermano il fermento intorno alla sua figura. Nonostante questo, Machen, nonostante gli omaggi di Lovecraft, Stephen King e Guillermo Del Toro, non ha mai sfondato (a differenza di Lovecraft) presso il grande pubblico ma il motivo è che ci troviamo di fronte a un autore particolare, lontano anni luce da un horror di facile presa sul lettore. Per Fruttero e Lucentini era uno scrittore estremamente raffinato e di nicchia (trovavano il suo stile troppo reticente e, per questo motivo, cassarono Il Gran Dio Pan dall’antologia “Storie di fantasmi” della Einaudi, anche se consideravano Il terrore un capolavoro) mentre per Borges era un “minore” senza che questo termine fosse da considerare in senso negativo dal famoso scrittore argentino. Di sicuro Machen è il mio scrittore “weird” preferito. Proprio del citato romanzo Il Gran Dio Pan si parla diffusamente in Arthur Machen: l’apprendista stregone. In particolare Marco Maculotti nel suo articolo Arthur Machen, profeta dell’Avvento del Grande Dio Pan, sottolinea come la pubblicazione, nel 1894, del romanzo dello scrittore gallese, costituisca un vero e proprio spartiacque nella concezione della natura di questa divinità. Mentre prima Pan era visto alla stregua di un dio pastorale, d’ora in avanti verrà considerato nei suoi aspetti inferi e occulti almeno fino alla fine della Grande Guerra che, con tutto il suo carico di orrori, è quasi il compimento delle predizioni nefaste del libro di Machen. Del citato racconto Il terrore ce ne parla con grande competenza Alessandra Colla che si sofferma anche sulla biografia dello scrittore. Andrea Scarabelli sottolinea invece l’importanza della lettura che di Machen fece Jacques Bergier prima nel libro di culto Il mattino dei maghi (che conteneva l’incipit de Il popolo bianco, forse il migliore racconto macheniano in assoluto) e poi in Elogio del fantastico dove c’era un intero capitolo a lui dedicato. In retrospettiva forse Bergier ha esagerato la sua permanenza nella Golden Dawn: Machen era una persona sensibile in cerca di ispirazione e qualcosa deve aver ricavato da queste esperienze, ma la sua condanna nei confronti dello spiritismo e dei suoi aspetti deleteri è oggi ben nota.

Disponibile sul sito di Bietti: http://www.bietti.it/categoria-prodotto/critica/.

 

La maschera del Daimon: Gustav Meyrink e la “Metamorfosi del sangue” – A X I S m u n d i


Su AxisMundi un approfondimento su Gustav Meyrink e la sua opera, lo scrittore weird che tanto ha dato al genere e tanto ha preso all’esoterismo. Un estratto:

Di Gustav Meyrink abbiamo già parlato sulle nostre pagine, recensendo la sua raccolta di saggi Alle frontiere dell’occulto — Scritti esoterici (1907 – 1952) recentemente tradotta in italiano dalle edizioni Arktos. La metamorfosi del sangue (titolo originale Die Verwandlung Blutes), testo appena pubblicato dalle edizioni Bietti — che nel sottotitolo invita a considerarlo alla stregua di una «Autobiografia spirituale» dello scrittore austriaco —, è da inquadrarsi dalla medesima prospettiva, presentando in forma di saggio le tematiche “occultistiche” che hanno reso così unica la mitopoiesi del’autore in questione.

Questa novità del catalogo Bietti, indirizzata agli appassionati della letteratura mitteleuropea di carattere “sovrannaturale” di inizio ‘900 e agli studiosi di dottrine “esoteriche”, si presenta impreziosita da una prefazione di Sebastiano Fusco (Il paradiso all’ombra delle spade. L’esoterismo nell’opera di Meyrink), dalla rara introduzione di Enrico Rocca alla prima edizione italiana de Il Golem e dalla postfazione critica di Andrea Scarabelli (Magiche metamorfosi), cui si deve ascrivere anche la curatela del testo. Così viene presentata l’opera in quarta di copertina:

«Come ormai universalmente riconosciuto, Gustav Meyrink è passato alla storia per aver inserito, nei suoi romanzi e racconti, una serie di esperienze vissute in prima persona nei più svariati ambiti di ciò che siamo soliti chiamare “esoterismo”. Tutte queste esperienze — dallo Yoga all’alchimia, dal tantrismo alla teosofia — sono accuratamente documentate ne La metamorfosi del sangue, saggio autobiografico rimasto inedito alla morte dell’autore, risalente agli ultimi anni della sua vita e qui tradotto per la prima volta in italiano. Testamento spirituale, lunga rêverie sul ruolo del destino e sulla possibilità d’influenzarlo attivamente, inno all’Immaginazione creatrice, questo scritto può essere considerato una sorta di “laboratorio” della narrativa di Meyrink, Demiurgo del Fantastico che fece di vita, letteratura e occultismo una cosa sola».

Parlando di trasmutazione del sangue o del corpo — dottrina che l’autore ritrova sia nello Yoga, che negli antichi insegnamenti gnostici, che tra i Rosacroce — Meyrink sottolineò come il superamento della condizione meramente umana cui fa seguito l’esperienza mistica di unione con il divino preveda la trasmutazione dello stesso veicolo corporeo del neofita: un tema, questo, che egli stesso indagò nei suoi romanzi iniziatici, così come pure fece nello stesso periodo il gallese Arthur Machen.

Nei racconti di quest’ultimo, i personaggi che riescono misteriosamente ad accedere all’Altro Mondo si renderanno conto, una volta tornati nel nostro mondo, di non aver più niente in comune con esso, appartenendo ormai de facto al mondo invisibile. Il cambiamento avvenuto in tali persone dopo la visita a Fairyland non è meramente psicologico, ma altresì ontologico: sia il loro corpo che la loro anima subiscono una vera e propria trasformazione, operata dai Fairies stessi, che ricorda da molto vicino lo «smembramento rituale» compiuto dagli spiriti iniziatori nelle tradizioni sciamaniche e la conseguente trasmutazione operata da questi ultimi sul corpo del neofita.

Elogio del fantastico di Jacques Bergier | FantasyMagazine


Su FantasyMagazine la segnalazione di Elogio del Fantastico, saggio elaborato dall’indimenticato Jacques Bergier (coautore del Mattino dei Maghi), che scandaglia approfondimente le connessioni tra finzione (cos’è la finzione?) e realtà (cos’è la realtà?). La quarta:

Il solo interesse della scienza è che dà idee alla fantascienza aveva scritto, perentorio, Jacques Bergier. Ogni volta che leggeva un libro di letteratura fantastica dismetteva infatti i panni dello scienziato per tuffarsi nello spazio profondo o in reami incantati. Questo libro – finora inedito in Italia – ne è la testimonianza: dieci ritratti di autori “magici”, creatori di altre dimensioni, esploratori di passati mitici e futuri fantastici.

Elogio del fantastico è dunque un viaggio attraverso le opere di John Buchan, Abraham Merritt, Arthur Machen, Ivan Efremov, John W. Campbell, J.R.R. Tolkien, C.S. Lewis, Stanislaw Lem, Robert E. Howard, Talbot Mundy e l’immancabile H.P. Lovecraft.

Tra le pagine di questi scrittori, Bergier vide risplendere per la prima volta quel “mattino dei maghi” che lo avrebbe reso un pioniere della Quarta Dimensione, comprendendo cosi che il fantastico è la quintessenza del mondo in cui viviamo, il cuore pulsante della materia.

Prima edizione italiana a cura di Andrea Scarabelli, con un’introduzione di Gianfranco de Turris e dieci tavole di Alessandro Colombo e Simone Geraci.

I paesaggi interiori di Algernon Blackwood – Il blog di Andrea Scarabelli


Sul blog di Andrea Scarabelli c’è una bella recensione a La valle perduta, il secondo racconto di Algernon Blackwood recuperato dall’oblio in queste settimane ultime settimane (l’altro è qui).
Cos’ha di speciale quest’autore misconosciuto nelle italiche terre? Vi incollo alcuni passaggi del recensore, tanto per farvi capire la grandezza e la lungimiranza dell’interpretazione weird blackwoodiana.

Un’atmosfera che emerge anche in questo racconto, apparso nell’omonima raccolta The Lost Valley (1910) e pubblicato per la prima volta in italiano nella traduzione di Annalisa Roffinengo, declinandosi nel fascino spettrale dei luoghi, in un singolare accordo tra geografia esteriore e geografia interiore. Un aspetto che Blackwood, come nota Pietro Guarriello nella sua introduzione, sperimentava in prima persona prima di mettersi a scrivere, lasciandosi catturare da quelle geografie ben prima di imprimerle su carta. La scelta di inserire in appendice il saggio La psicologia dei luoghi si muove proprio in quest’ottica. Perché è il genius loci, vero protagonista di questo racconto intenso e struggente, a stagliarsi dietro due gemelli, identici in tutto e per tutto, che compiono un’escursione sulle Alpi, imbattendosi in una leggendaria quanto sinistra Valle Perduta, «dove gli spiriti dei suicidi, o di chi è morto di morte violenta, trovano la pace eterna, quella pace che è negata loro in tutte le altre religioni». Un luogo antichissimo e misterioso che finirà per intrecciare ulteriormente i loro destini: un’amara riflessione sul senso della vita e del tempo, ma anche un messaggio di speranza rivolto a chi crede che il senso delle cose non è solamente materiale, e che il segreto di un istante può schiudersi solo nell’Eterno.

È un percorso tortuoso e ricco di salti dimensionali a spingere i protagonisti in un viaggio che, partendo da contrade note, si conclude nei recessi della loro anima, un cammino che dal finito si inabissa nell’aldilà e nell’eternità. I due gemelli, insomma, finiscono per sollevare il velo di Maya, andando oltre l’apparenza delle cose: non hanno parole per descrivere quest’esperienza, ma è ovviamente un trucchetto di Blackwood, la cui penna restituisce appieno il senso del transito, in pagine auree ed affilate. Qualche esempio?

«La profondità della valle si apriva come un’inquietante ombra sotto i suoi piedi; si snodava morbida e scura, in contrasto con la luce del sole. Dalla massa boschiva si levava solo un unico mormorio, come il brusio delle voci che aveva sentito in sogno, pensò. Il fruscio dei singoli alberi si fondeva in un unico suono. Una pace, antica e profonda, risiedeva in quella valle, e il suo bisbiglio gli addolciva lo spirito».

Oppure:

«La tristezza dell’autunno era presente tutta intorno a lui, e la solitudine di quella valle nascosta gli parlava della malinconia di ciò che muore – le primavere che finiscono, le estati insoddisfatte, le cose incomplete e che non appagano. Pensò che quella valle non avesse mai conosciuto presenza umana».

Accadrà a Twin Peaks: David Lynch e l’esoterismo – Il blog di Andrea Scarabelli


Sul blog di Andrea Scarabelli un’altra segnalazione degna di nota per quanto riguarda David Lynch e il ritorno, dopo 25 anni di attesa, per Twin Peaks. L’elemento esoterico è anche in questo ragionamento preponderante, ineludibile; uno stralcio:

Serie cult degli anni Novanta, Twin Peaks ha ossessionato l’immaginario collettivo di almeno due generazioni, con i suoi personaggi bizzarri, i dialoghi surreali e i boschi infestati da sinistre presenze. Un successo incredibile, insomma, forse legato ad aspetti non squisitamente “tecnici”. E se dietro alla fortuna degli incubi immortalati da Lynch si celasse altro? Ne abbiamo parlato con Roberto Manzocco, giornalista e docente universitario, autore del purtroppo introvabile Twin Peaks, David Lynch e la filosofia. La Loggia Nera, la Garmonbozia e altri enigmi metafisici, uscito per Mimesis nel 2010. La tesi del libro è che le trame della serie nasconderebbero – ma neanche troppo – una serie di elementi esoterici e metafisici. Abbiamo iniziato questa chiacchierata domandandogli quale sia l’origine dell’esoterismo di Twin Peaks, specie considerando le biografie dei suoi due creatori. Vite che, in effetti, riservano parecchie sorprese…

Sia Lynch che Mark Frost sono persone di ampia cultura, con una forte prospettiva personale. Lynch è un seguace della Meditazione Trascendentale, mentre Frost si è occupato di Teosofia, la dottrina esoterica sviluppata da Helena Petrovna Blavatsky, medium, occultista e avventuriera vissuta più o meno nella seconda metà dell’Ottocento. Ma in Twin Peaks troviamo anche elementi provenienti dal folklore degli Indiani d’America e altri elementi cari a Lynch.

Qualche esempio?

L’idea pre-scientifica che l’elettricità sia una forza magica; il fatto che ci siano creature soprannaturali in grado di possedere le persone solo se invitate ad entrare (sulla falsariga dei vampiri, per capirci). E poi il concetto – che ritroviamo spesso nel mondo del paranormale – di vampirismo psichico, l’idea di creature capaci di nutrirsi delle emozioni negative che esse stesse provocano nelle vittime (la famosa “garmonbozia” di cui si nutrono gli abitanti della Loggia Nera, che rappresenta – parola di Lynch – «dolore e dispiacere»). Personalmente, non sono un sostenitore del paranormale, ma sospendo volentieri il mio scetticismo per godermi il lavoro di Lynch e Frost!

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