Su AxisMundi un lungo articolo di Marco Maculotti che aiuta a inquadrare l’essenza stessa del sito, il motivo per cui esiste e gli obiettivi che i tenutari si sono prefissati. Un estratto, non esaustivo ma significativo:
Inquadrare «AXIS mundi» in una categoria ben definita non è semplice. Pur essendo incentrato su tematiche apparentemente molto accademiche come la storia delle religioni, l’antropologia del sacro, l’etnografia e il folklore, in realtà le pubblicazioni riguardano spesso anche argomenti più difficilmente inquadrabili in una prospettiva accademica, come tutte quelle dottrine che vengono solitamente definite “esoteriche”, pratiche rituali e “magiche”, e non ultima la letteratura del fantastico.
Il “filo rosso” che unifica tutte queste tematiche eterogenee trattate sulle pagine di «AXIS mundi» in realtà, definizioni ed etichette a parte, è molto chiaro, e si può rintracciare nella credenza nell’esistenza di un mondo ulteriore dietro quello di cui facciamo esperienza tutti i giorni con i sensi ordinari: un mondo occulto e normalmente invisibile, decifrabile alla stregua di un codice segreto, cui l’individuo può accedere eccezionalmente durante le esperienze estatiche e mistiche e di cui la storia delle religioni e le dottrine etnografiche ci hanno dato innumerevoli testimonianze attraverso i millenni della storia dell’umanità.
A livello accademico l’antropologia non si è mai concentrata, purtroppo, su questa prospettiva interpretativa dell’esperienza cultuale e religiosa. Quando nacque nel XIX secolo, l’antropologia era considerata nelle università una disciplina quasi interamente incentrata sul profilo razziale. Nella seconda metà del XX secolo si è poi passati a una prospettiva nominalmente “culturale”, ma in realtà più incentrata su tematiche di tipo sociologico, e non sulle tradizioni sacre stricto sensu. Io invece ritengo che, se vogliamo davvero studiare la storia dell’homo religiosus attraverso i millenni, dobbiamo mettere al centro della nostra analisi proprio l’esperienza sacra in sé, e tutta la visione del mondo che nelle società tradizionali stava dietro e rendeva possibile, collettivamente e individualmente, questa esperienza.
In questa sede è essenziale sottolineare come il collegamento tra storia delle religioni e psichedelia — o per meglio dire tra la prima e i cosiddetti “stati non ordinari di coscienza” — sia palese. L’esperienza sacra in sé, collettiva come individuale, è innanzitutto un’esperienza letteralmente “psichedelica” (rivelatrice della psiche), qualcosa che ha che fare con il superamento dei limiti ordinari dell’essere umano e al tempo stesso con una realizzazione superiore dell’elemento individuale, quello che gli antichi greci definivano daimon. Tutte le cerimonie nelle società tradizionali miravano proprio a questi obiettivi, oltre che ad altri di tipo comunitario. Senza ovviamente dimenticare il larghissimo uso rituale di erbe o decotti psicotropi, nelle pratiche sciamaniche dei popoli di cacciatori-raccoglitori così come nei riti misterici delle società urbane più stratificate (cfr. il Soma dei Veda e il Kykeon di Eleusi).
Lo stesso impianto ritualistico fondato sul “cerchio dell’anno”, in cui le cerimonie si svolgono oltre che in uno spazio sacro anche in un tempo sacro, determinato dai solstizi e dagli equinozi, dalle rivoluzioni del sole, della luna e degli altri corpi celesti, è importantissimo, perché ci fa comprendere il fatto che un’esperienza sacra vera e propria diventa possibile solo agendo all’interno di confini spazio-temporali ben definiti, che non riguardano solo l’individuo o la comunità umana, ma la natura e il cosmo tutto, le stagioni, gli astri.
Solo allineandosi con i ritmi del cosmo l’uomo tradizionale riusciva ad accedere a quello che Mircea Eliade definì “tempo sacro”, il tempo del rito in cui il mito si riattualizza e l’essere umano può evadere dai limiti che normalmente lo costringono nello stato di coscienza ordinario, e così trovare il suo Centro. In ciò i punti di contatto con l’esperienza psichedelica sono chiarissimi: anche il tempo di quest’ultima è a suo modo “sacro” e “mitico”, poiché si distingue nettamente dal tempo meramente lineare in cui si svolge la vita di tutti i giorni, individuale come comunitaria, e si rivela momento epifanico per le potenze divine ed archetipali. Il tempo dell’esperienza psichedelica, in questo senso, è simile al Dreamtime, il “Tempo del Sogno” degli aborigeni australiani, una dimensione preter-temporale in cui gli dèi vivevano a stretto contatto con gli uomini, gli animali e tutto ciò che esiste, senza che esistesse ancora una separazione o una differenziazione fra le parti.
Non è un caso allora se molti topoi che tradizionalmente hanno a che vedere con l’esperienza religiosa e rituale si trovino pedissequamente nell’esperienza psichedelica: si pensi al viaggio nel “mondo infero”, all’incontro con intelligenze disincarnate, all’intuizione dell’esistenza di un “mondo dietro al mondo” che normalmente esperiamo con i cinque sensi ordinari, a stati “misticheggianti” di coscienza, all’intuizione di “segni” divini o quantomeno sovrannaturali, e via dicendo.
Infatti, si potrebbe quasi dire che nell’Occidente post-moderno, in cui tra l’altro la stessa religione cristiana si è sempre più secolarizzata e “profanizzata”, l’esperienza psichedelica abbia preso il posto lasciato vuoto dall’esperienza sacra tradizionale. La differenza che salta subito all’occhio, tuttavia, è l’assenza di un background mitico e tradizionale su cui basare tale esperienza, oltre che la connotazione prettamente individuale, e non comunitaria, dell’esperienza psichedelica rispetto a quella rituale tradizionale. Tra gli obiettivi principali di «AXIS mundi» c’è anche quello di supplire a questa mancanza, fornendo al lettore strumenti e prospettive su cui fondare non solo l’esperienza psichedelica stricto sensu, ma l’intera “visione del mondo” che ci permette di interpretare la realtà in un modo più complesso, olistico se vogliamo, o “mitico” come direbbe James Hillmann.
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