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Archivio per Inghilterra

PINK FLOYD: IL TOUR ’67 CON LA JIMI HENDRIX EXPERIENCE E TUTTI I RETROSCENA | PinkFloydItalia


Su PinkFloydItalia la storia del tour inglese di Jimi Hendrix nel novembre ’67, cui parteciparono pure i Floyd con Syd Barrett in evidente crollo psichico. Un estratto:

Nel novembre del 1967 un gruppo di band psichedeliche, rock e soul, ricco di stelle ma improbabile, partì con una flotta di auto, furgoni e pullman per una tournée di 21 date nei teatri e nelle sale civiche di tutta la Gran Bretagna, nel vago tentativo di emulare il tradizionale tour “package” di un tempo.

Come abbiano fatto i Pink Floyd a farsi strada nel cartellone non è dato saperlo. Il loro leader, Syd Barrett, stava lentamente ma inesorabilmente minando tutto ciò che la band aveva cercato di ottenere nell’ultimo anno. Le interminabili tournée, i servizi fotografici, le interviste, le sessioni radiofoniche e televisive non sarebbero servite a nulla, poiché era sempre più evidente che il principale autore della band non riusciva più a farcela, soprattutto a causa del gusto per l’LSD.
Nonostante un periodo di recupero in quell’agosto, l’incessante tournée logorò in egual misura sia il fragile stato mentale di Barrett sia la tempra dei suoi compagni di band. Durante un tour promozionale negli Stati Uniti, appena due settimane prima dell’inizio del tour di Hendrix, i Floyd mandarono a monte tre apparizioni televisive di alto profilo a Hollywood, fecero arrabbiare il leggendario promoter di San Francisco Bill Graham e ridussero in lacrime l’amministratore delegato della loro etichetta discografica a Los Angeles.

“Ha stonato la chitarra per tutto il tempo di un numero, colpendo le corde. Più o meno smise di suonare e rimase lì, lasciandoci a confondere le acque come meglio potevamo“, racconta il batterista dei Floyd Nick Mason. “Syd impazzì durante il primo tour americano. Per la maggior parte del tempo non sapeva dove si trovava. Ricordo che sul palco di Venice, a Los Angeles, aveva stonato la chitarra e se ne stava lì a far tintinnare le corde, il che era un po’ strano, anche per noi. Un’altra volta si è svuotato un barattolo di Brylcreem in testa perché non gli piacevano i suoi capelli ricci“.

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Le dame di Grace Adieu e altre storie di Susanna Clarke | FantasyMagazine


Su FantasyMagazine la segnalazione della raccolta di racconti Le dame di Grace Adieu e altre storie, di Susanna Clarke, autrice (direi fantastica, non propriamente Fantasy) che adoro perché dotata di un gusto, di una fantasia, di una capacità di innovare i generi che ha pochi riscontri. La quarta:

Dopo PiranesiJonathan Strange & il signor Norrell, ritorna il magico mondo di Susanna Clarke, la regina del fantasy, finalista al Man Booker Prize e vincitrice del Women’s Prize for Fiction.

Molti mortali hanno vagato per le campagne inglesi senza farne più ritorno. Questo perché tra i boschi silenziosi e le verdi colline si celano dei confini invisibili, al di là dei quali il mondo reale si ripiega su dimensioni assai più magiche e ricche di insidie. Lo sanno bene i protagonisti di queste storie, che si ritrovano a interagire con creature impertinenti e maliziose che giocano con la superficie delle cose, scompigliando il buon senso e l’ordine della realtà. Da una vita di campagna solo apparentemente tranquilla fino ai castelli dove è stata scritta la storia dell’Inghilterra, in questi racconti maghi e fate si intromettono nelle esistenze assolutamente comuni di vicari di campagna e fidanzate gelose, ma anche nei destini di figure storiche come Maria di Scozia e il duca di Wellington.

Con la sua caratteristica prosa che unisce l’ironia vittoriana ai temi classici del folclore britannico, Susanna Clarke tesse le fila di un mondo fantastico dove Storia e magia si intrecciano in maniera prodigiosa e dove il lettore ritroverà alcune vecchie conoscenze provenienti da Jonathan Strange & il signor Norrell.

Assange e Bernstein: stretti tra due Imperi – NAZIONE OSCURA CAOTICA


[Letto sul blog della NazioneOscura]

Se da una parte c’è il grande spettro dello zarismo di Vladimir Putin, dall’altro – qui nel libero Occidente – abbiamo una giustizia che incarcera giornalisti liberi. Come Julian Assange, cofondatore e caporedattore dell’organizzazione divulgativa WikiLeaks, e Mark Bernstein, uno degli autori della versione russa di Wikipedia l’enciclopedia libera online.

La Corte suprema britannica non ha ammesso il ricorso di Assange contro la sua estradizione negli Stati Uniti. A questo punto la strada verso la libertà per Assange si fa strettissima, e le speranze di evitare l’estradizione sono oramai ridotte al minimo. La vicenda è tutta nelle mani del ministro dell’Interno britannico, Priti Patel, che dovrebbe prendere la decisione definitiva.

Una sorte simile è toccata a Bernstein, arrestato dalla Direzione Generale contro il crimine organizzato e la corruzione del ministero dell’Interno della Bielorussia. Una notizia che riporta all’ordine del giorno gli arresti nei confronti degli attivisti contro Putin e contro la guerra che si sta svolgendo tra Russia e Ucraina. In seguito all’arresto, l’account di Bernstein è stato bloccato a tempo indeterminato.

Gli imperi hanno regole simili, pur se sviluppati su derive storiche diverse.

1984: sciopero! – Carmilla on line


Su CarmillaOnLine un articolo per ricordarci cos’è effettivamente il liberismo, cosa ha già fatto ai tempi della Thatcher in UK e cosa continuerà a fare ovunque – non si capisce perché debba migliorare e non incattivirsi e inumanizzarsi ancor di più. Un estratto:

1984. U.K. miners’ strike rappresentò la lotta dell’Unione Nazionale dei Minatori di Arthur Scargill, una lotta che voleva impedire la chiusura di venti giacimenti carboniferi del Regno Unito e che avrebbe portato il licenziamento di circa 20000 lavoratori.
Lo sciopero ebbe inizio il 6 marzo 1984. Durò oltre un anno in seguito all’annuncio della chiusura della miniera di carbone di Cortonwood nello Yorkshire per contrastare il disegno del Primo Ministro Margareth Thatcher di diminuire il numero e la produzione dei pozzi di estrazione del carbone.

Nell’ambito della sua politica industriale e sindacale la Thatcher mise all’opera un programma ben definito: 1) un piano energetico nazionale per diminuire l’uso del carbone, troppo costoso da estrarre e fuori mercato. 2) adozione di norme per limitare il diritto di sciopero, soprattutto riguardo alla pratica “illegale” dei picchetti.
Il 18 giugno 1984, nello Yorkshire scozzese, ebbe luogo quella che passerà alla storia come “la battaglia di Olgreave” l’evento più drammatico del lungo sciopero in corso. Quel giorno l’immagine che gli inglesi avevano dei loro governanti cambiò improvvisamente. Fu una battaglia, una guerra mossa dal governo contro il suo stesso popolo.

Nel libro GB 1984 di David Peace c’è il racconto di cinquantatré settimane di guerra civile con picchetti, arresti, violenze e intimidazioni, famiglie disperate, crumiri, corruttori e corrotti. A combattere questa battaglia che dilaniava interamente il paese, ci furono uomini come Terry Winters, braccio destro del dispotico leader del sindacato che doveva farsi carico del destino di migliaia di lavoratori, come l’ebreo, un mediatore senza scrupoli deciso a spezzare lo sciopero con ogni mezzo e che reclutava neonazisti da sguinzagliare contro i picchettatori, che manipolava gli organi di informazione e faceva in modo che i cameramen della televisione inquadrassero soltanto il lancio di sassi da parte dei minatori e non le cariche violente e le manganellate della polizia.
La volontà di vincere ad ogni costo della classe dominante, la violenza delle forze dell’ordine, l’incapacità degli uomini del sindacato sempre più apparato. Una vera e cruda rappresentazione della realtà dove Margareth Thatcher comparve una sola volta con nome e cognome è sempre con attributi: “La Lady di ferro” o “La Troia di Ferro” per i minatori. Una rappresentazione dove non c’era il tempo di tirare il fiato perché tra le due parti, come nella realtà, c’erano delatori, ruffiani, spie che stavano dentro questo ingranaggio dove si rischiava di rimanere stritolati.

La terza guerra civile della Gran Bretagna. Una sconfitta che sa di fiele. Una pagina nera nel mondo del lavoro con una nazione che volta le spalle. Un grosso focolaio per l’Europa intera sotto la brutalizzazione del neoliberismo.
Segnali terribili di un tempo che cominciò a cambiare in peggio.

 

J.R.R. Tolkien e la caduta di Artù – A X I S m u n d i


Su AxisMundi un trattato su J.R.R. Tolkien e la sua poetica incompiuta, in questo imperniata su Artù, un altro tassello – dopo quello inserito da Kipple – che sviscera gli aspetti poco conosciuti del grande romanziere inglese, creatori di mondi unici.

Probabilmente mai come in questo periodo, in Italia, si era parlato di John Ronald Reuel Tolkien. Dalla nuova traduzione prevista per Il Signore degli Anelli, all’uscita del film biografico sulla figura del professore, fino alla serie tv targata Amazon dal budget stellare ma ancora in fase embrionale, la figura di Tolkien occupa un ruolo centrale nel panorama odierno.

Eppure, ci sono ancora molte sue opere che non hanno raggiunto il grande pubblico, rimanendo di dominio di pochi. Una di queste è sicuramente La caduta di Artù, poema allitterativo rimasto incompiuto e pubblicato postumo nel 2013 dalla HarperCollins. Come di consueto, l’edizione è curata dal figlio maggiore di J.R.R., Christopher, il quale ha messo assieme il materiale del padre (comprese le bozze), arricchendolo con contributi notevolmente interessanti. Nel corso di questa trattazione faremo spesso riferimento a questo apparato critico, al fine di inquadrare l’opera tolkieniana nello spazio e nel tempo.

La Ragazza con la Pistola – Girl with a Gun – 1968 Trailer


Commistioni di oscurità, sitar, psichedelia e “The Family”; suoni seminali e occulti per i successivi due decenni. Dall’ennesimo capolavoro di Mario Monicelli, La ragazza con la pistola, l’impatto del vecchio mondo col nuovo, e le premonizioni su cosa sarebbe accaduto nel futuro successivo; la colonna sonora di Peppino De Luca è un capolavoro totale.

IL FILO A PIOMBO DELLE SCIENZE > L’INGLESE E’ E RESTA UNA LINGUA GERMANICA


Un bel post di Marco Moretti sulla lingua inglese e sulle sue derivazioni, inclinazioni e storpiature che quel linguaggio ha subito col passare dei secoli, e delle dominazioni. Demolizioni che, almeno questo, la nostra lingua non ha passato.

La natura germanica della lingua inglese moderna dovrebbe essere chiara a tutti. Eppure non è così. Il vocabolario derivato dall’anglosassone sembra esiguo rispetto all’immensa mole dei prestiti di origine romanza, latina e greca, così sono state avanzate proposte di classificare l’idioma di Shakespeare come una lingua germano-romanza. Per lo stesso motivo l’uomo della strada, che ignora la filologia germanica, è incline a ritenere l’inglese un bizzarro tipo di lingua romanza. In Italia questa opinione è diffusissima, complice un sistema scolastico tradizionalmente ostile a tutto ciò che non ha in Roma la sua radice.

La battaglia di Hastings (1066) ha cambiato per sempre il destino dell’Inghilterra. A causa del dominio dei Normanni, la lingua inglese è stata colpita da una sciagura gravissima, un trauma irreparabile a cui possiamo dare il nome di integrazione anglo-romanza. Gli esiti di questo processo spaventoso e caotico sono sotto gli occhi di tutti. Si stima che circa l’85% del lessico anglosassone originale sia andato perduto. Circa 10.000 vocaboli sono entrati nel medio inglese a partire dalla lingua d’oïl parlata dai Normanni. Di questi prestiti, il 75% è tuttora vivo. Come se non bastasse, innumerevoli parole dotte sono state prese a prestito dal latino e dal greco nella fase dell’inglese moderno. Questo processo, che tra le altre cose ha permesso la formazione della lingua scientifica, è tuttora in corso e non accenna a diminuire. Potremmo quasi parlare di integrazione anglo-latina e di integrazione anglo-greca. Esistono moltissimi lavori che parlano di questi argomenti, sia nel Web che cartacei.

Come conseguenza della sua storia molto travagliata, l’inglese è una lingua fortemente dissociativa. Questo significa che forma parole derivate a partire da radici prese dal francese, dal latino o dal greco, che non hanno alcuna attinenza con la radice germanica usata per esprimere il concetto di base. Questo è in netto contrasto con la lingua di Beowulf, che era fortemente associativa, dal momento che formava le parole derivate utilizzando la radice delle parole semplici e opponendosi a ogni opacità etimologica.

Re Artù. La vera storia | FantasyMagazine


Su FantasyMagazine la segnalazione di Re Artù. La vera storia, ricerca storica di Graham Phillips che verte sul mondo che ci appare fatato di Artù, Lancillotto, Merlino, Ginevra. Qui sotto la sinossi, che vuole dimostrare come la leggenda sia soprattutto un narrare enfatizzato di forti realtà storiche.

Figura tra le più enigmatiche nella storia del Medioevo, re Artù è protagonista di innumerevoli racconti fantastici, costellati di potenti maghi, cavalieri indomiti, dame misteriose, fenomeni soprannaturali e luoghi incantati. Ma, al di là della leggenda resa popolare nel XII secolo dal chierico gallese Goffredo di Monmouth, esistono prove sufficienti per affermare che Artù sia stato un uomo in carne e ossa, un personaggio storico realmente vissuto? Graham Phillips, che a questa ricerca ha dedicato venticinque anni di studi, ne è assolutamente sicuro. Prendendo le mosse da antichi manoscritti conservati nella British Library di Londra, Phillips illustra il lungo e tortuoso cammino che lo ha portato a reperire fonti sempre più numerose e precise sull’esistenza di un capo riconosciuto che, nella Britannia ormai non più provincia romana e travagliata da lotte intestine, seppe costruire un regno abbastanza potente da garantire una pace duratura. Un capo che, con il procedere delle ricerche, sembra poter incarnare perfino nei dettagli il mito di Artù. Anche Camelot, l’epica fortezza da lui scelta come capitale, sarebbe un luogo fisico ben identificabile, dove l’autore si è recato di persona verificando sul campo le straordinarie coincidenze fra storia e leggenda. E altrettanto reale sarebbe Excalibur, la spada che Artù avrebbe estratto dalla roccia e che ora sarebbe celata nelle profondità di un lago un tempo considerato sacro, mentre Merlino potrebbe benissimo essere il coraggioso guerriero di origine italiana Myrddin. Ma il culmine dell’appassionante indagine di Phillips è rappresentato dalla scoperta nelle brumose campagne dello Shropshire, nell’Inghilterra centrale, della mitica Avalon, un’antica isola-santuario sufficientemente appartata, silenziosa e inquietante per poter ospitare in gran segreto da millecinquecento anni le spoglie mortali del leggendario re dei britanni.

Attenti a quei due! | SherlockMagazine


Su Sherlock Magazine la segnalazione di una nuova messa in onda di una vecchia serie TV che tanto mi piacque – e piace tuttora – in un’epoca che mi vedeva bimbo: Attenti a quei due.

La nota serie televisiva britannica venne prodotta da Robert Sidney Baker fra il 1970 e il 1971 e ruota attorno alle avventure del milionario statunitense Danny Wilde e del raffinato inglese Lord Brett Sinclair, interpretati rispettivamente da Tony Curtis e Roger Moore. A intrigare lo spettatore non sono solo le avventurose indagini dei due protagonisti: particolarmente coinvolgente è soprattutto il buffo rapporto di eterni amici-nemici che viene a crearsi fra Sinclair e Wilde, sempre impegnati in una continua presa in giro reciproca. Il primo, moderato in ogni sua azione e ricercatamente elegante fin nei più piccoli dettagli, non può che rappresentare lo stile di vita della “vecchia” Europa, e dell’Inghilterra in particolare, mentre il secondo è lo stereotipo dell’arricchito e un po’ rozzo americano, il “nuovo” continente. Forse fu proprio l’ironia con cui venne raffigurata la cultura americana ciò che rese la serie poco apprezzata negli Stati Uniti, aspetto considerato da molti come uno dei possibili motivi per cui le riprese vennero precipitosamente interrotte dopo il ventiquattresimo episodio, senza giungere a una vera e propria conclusione della storia.

Il tema musicale mi ha sempre intrigato, l’umorismo e l’ambientazione so british mi è sempre piaciuta, quell’Europa ormai scomparsa e che si esaltava per quello stile albionico mi piace tuttora e, che dire, mi rivedo ogni volta con piacere anche una singola scena. E voi?

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