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Archivio per William Hope Hodgson

La casa sull’abisso | HorrorMagazine


Su HorrorMagazine la recensione di Cesare Buttaboni al classico “La casa sull’abisso”, di William Hope Hodgson, riproposto da Fanucci in una nuova veste editoriale; vi lascio alle parole di Cesare:

La casa sull’abisso è una pietra miliare della cosiddetta narrativa dell’orrore cosmico. La scrittura onirica di Hodgson scava nelle profondità della psiche umana ed è fortemente simbolica, e certo non si può dire che lui sia un autore di narrativa “popolare” superficiale”: il suo universo è paragonabile per complessità a quello di Lovecraft e Jean Ray. Il romanzo emerge come un faro sinistro, guidando il lettore attraverso i meandri oscuri dell’inconscio umano con la maestria visionaria di William Hope Hodgson.

In questa epica della follia e dell’angoscia, l’autore britannico intreccia magistralmente gli elementi del gotico con l’orrore cosmico, creando un’opera immortale che si insinua nella psiche del lettore come un’ombra inquietante. La trama si dipana con la lentezza inesorabile di un incubo, seguendo le vicissitudini del Recluso, un’anima tormentata che trova rifugio in una remota dimora irlandese insieme alla sua sorella e al fedele cane Pepper. Tuttavia, il santuario apparente si trasforma ben presto in un teatro di orrori indicibili, quando creature dalle sembianze suine emergono dagli abissi dell’inconscio per assediare la famiglia.
Il fulcro dell’orrore risiede nella casa stessa, che diventa una sorta di prigione metafisica in cui il protagonista si ritrova intrappolato tra le mura di una mente distorta. Le stanze si trasformano in cellule di un labirinto psichico, dove l’orrore si annida dietro ogni angolo e ogni porta aperta rivela un nuovo abisso di terrore. Ma Hodgson va oltre il semplice spavento superficiale, affondando le sue radici nell’oscurità primordiale dell’universo. Le creature che assediano la casa sono manifestazioni di forze extra-cosmiche, simboli dei demoni interiori che si annidano nell’animo umano, richiamando le teorie di Freud sull’inconscio e suggerendo un’oscura connessione tra l’individuo e l’universo infinito.

L’atmosfera che permea l’intera narrazione è una solitudine metafisica, un senso di alienazione e disperazione che avvolge il lettore come un sudario funereo. Il Recluso si trova intrappolato in un ciclo di studio ossessivo e difesa disperata, mentre le forze oscure che lo circondano minacciano di spazzarlo via come foglie morte. Ma è nel viaggio astrale del protagonista che Hodgson raggiunge le vette più alte dell’orrore cosmico. Attraverso visioni e allucinazioni, il Recluso si trova catapultato oltre i confini della percezione umana, in un turbine di spazio e tempo dove l’universo stesso si sgretola sotto il peso dell’eternità. Questo viaggio iniziatico, ricco di simbolismi ermetici ed esoterici, solleva interrogativi profondi sulla natura dell’esistenza e dell’universo.

Le indagini di Simon Iff – Aleister Crowley


Su Scheletri.com la recensione di Cesare Buttaboni a “Le indagini di Simon Iff”, di Aleister Crowley, per i tipi di Arcoiris.

Grazie alle Edizioni Arcoiris vedono finalmente la luce Le indagini di Simon Iff di Aleister Crowley all’interno della collana La Biblioteca di Lovecraft, un testo che giunge finalmente anche nelle mani dei cercatori di enigmi e segreti.
Franco Pezzini, con acume, ci introduce al protagonista Simon Iff scrivendo come “”Iff è nei fatti un alter ego dell’autore mago e profeta delle leggi di Thelema, sgomitante del suo egocentrismo e della sua voglia di colpire gli interlocutori”. Questo detective del mistero, sgomitante del suo egocentrismo, si manifesta come una figura enigmatica che sfida il lettore a perdersi nei meandri delle sue indagini. Crowley ha influenzato anche il sottobosco della musica esoterica, lasciando un’impronta indelebile nei Current 93 e nei Death in June. La filosofia di Crowley, chiamata Thelema, ha ispirato profondamente soprattutto i Current 93 (Il nome del gruppo rimanda a “The 93rd Current”, definizione della religione Thelema), divenendo una forza guida nei loro primi dischi esoteric-industrial.

Scritti durante la sua permanenza in America (probabilmente per sbarcare il lunario), questi racconti rivelano una prosa non eccelsa, ma intrisa di un fascino oscuro e sulfureo che persiste ancora oggi. Crowley si avventura nel genere del giallo, intrecciando abilmente elementi di occultismo e misticismo nella trama classica del detective. Franco Pezzini suggerisce un parallelo con Chesterton e i suoi racconti di Padre Brown, mentre non possiamo ignorare l’atmosfera dell’epoca dei John Silence di Algernon Blackwood e Carnacki di William Hope Hodgson.
Simon Iff, il protagonista, emerge come un detective esperto, praticante delle arti occulte, un’ombra carismatica in un mondo di misteri. La trama, permeata di atmosfere mistiche, si svela attraverso casi intricati che si snodano come fili sottili nella notte.
Crowley, con maestria, integra elementi di occultismo nella narrazione, citando persino le sue celebri parole “Fa Ciò che vuoi sarà tutta la legge”. Tra i racconti più suggestivi, “Caccia grossa” e “Il temperamento artistico” emergono come gemme in cui si svelano club di adorazione del diavolo e analisi profonde sulla natura dell’arte. “Non abbastanza bravo” risuona di echi di Frazer, aggiungendo ulteriore profondità alle indagini di Iff.
Questa raccolta offre ai lettori un viaggio stimolante e avvolgente, dove la luce del razionale si fonde con l’ombra dell’inspiegabile. Aleister Crowley continua a dimostrare la sua maestria nel plasmare mondi narrativi unici, offrendo una prospettiva letteraria che sfida e affascina, in un crepuscolo di conoscenza inesplorata.

Carnacki. L’indagatore dell’occulto | HorrorMagazine


Su HorrorMagazine la recensione di Cesare Buttaboni a Carnacki. L’indagatore dell’occulto, antologia a cura di Gabriele Scalessa ed edita da “Il Palindromo”; un estratto che indaga l’opera di William Hope Hodgson:

Il Carnacki si inserisce nel proficuo filone dei detective dell’occulto e deriva sicuramente dal celebre John Silence di Algernon Blackwood ma ovviamente, come fa acutamente notare Franco Pezzini nell’introduzione, non si possono non fare i nomi del celeberrimo Sherlock Holmes, di  Martin Hesselius di Le Fanu e di Van Helsing di Bram Stoker. Il progenitore di tutte queste figure è poi il Dupin di Edgar Allan Poe. Devo dire però che non vedo mai nessun accenno all’Harry Dickson di Jean Ray, considerato lo Sherlock Holmes americano.
Tornando a Carnacki devo dire subito che il livello di queste storie è molto lontano (come faceva notare anche Lovecraft) dai suoi romanzi capolavoro ma anche dai suoi migliori racconti marinareschi. Carnacki è obiettivamente inferiore anche al citato John Silence di Algernon Blackwood. Detto questo le storie sono in ogni caso ancora leggibili e godibili: non sempre ci troviamo di fronte al soprannaturale ma a delle truffe che poi vengono spiegate. Non mancano indubbiamente spunti di interesse come la presenza di un testo di formule protettive del XIV secolo denominato Manoscritto Sigsand, l’esistenza di forze mostruose presenti sul piano astrale che premono per materializzarsi nella quotidianità, le Manifestazioni Aeiirii e Saiitii, l’utilizzo del Pentacolo Elettrico come forma di protezione e l’utilizzo di mezzi scientifici moderni. Ma manca in definitiva il senso di orrore cosmico che fa di William Hope Hodgson uno dei più importanti autori fantastici del secolo scorso. Qualche spunto ogni tanto emerge come in Il maiale, che ricorda le creature suine del suo romanzo capolavoro La casa sull’abisso, e in Il Jarvee infestato, racconto nel solco dei suoi racconti di ambientazione marina.

Carmilla on line | Noi, al sicuro nel Pentacolo Elettrico (Victoriana 46)


Come anticipato qui, è uscito per i tipi del Palindromo un corposo volume sui racconti inerenti a Carnacki, l’indagatore dell’incubo, scritti da William Hope Hodgson; questa è la sontuosa introduzione di Franco Pezzini, leggibile integralmente su CarmillaOnLine; un lungo estratto:

Il successo delle riviste e dell’editoria popolare nell’Ottocento e specificamente nell’età vittoriana è a monte di un fenomeno la cui lunga coda interessa ancora noi oggi, cioè la nascita di una nuova epica popolarissima – diremmo di genere, con caratteri paraletterari o qualche volta pienamente letterari – che avrà strabordante fortuna postmoderna in forma transmediale. Dopo il successo infatti di diluviali saghe di eroi popolari a puntate a metà ottocento con i penny dreadful, la serialità di storie a episodi – annunciata fin dai tempi di Dupin e della Rue Morgue, 1841, con il varo del primo poliziesco moderno (ancora grondante gotico, sia pure) e del primo indagatore per “casi” – vede emergere nuovi modelli di eroi attrezzati, rispetto al passato, a un genere radicalmente diverso di quest. La nuova quest non mira all’orizzonte del sovrannaturale/meraviglioso (il santo Graal…), ma a risolvere misteri essenzialmente umani, legati spesso a un altro nuovo fenomeno già notato da Poe nel proto-poliziesco L’uomo della folla (The Man of the Crowd, 1840): il mistero della vita nella metropoli moderna, di lì idealmente a monte di una serie di romanzi che quel grembo di male notomizzavano in modo più o meno fantasioso, da I misteri di Parigi (Les mystères de Paris, 1842-1843) di Eugène Sue, a infiniti altri meno noti a firma di autori diversi (I misteri di Marsiglia, di Londra, di Napoli, di Pietroburgo etc.).

Nasce così, dalla radice-Dupin poi indefinitamente criticata dai discendenti a smarcare una propria autonomia, il detective seriale moderno: connotato da peculiarità, idiosincrasie, stigmi di eccezionalità che lo rendono più o meno un outsider, come l’Arcidetective Holmes e infiniti altri rivali (usiamo per ora questo termine, capiremo poi perché) eccellenti o miseri, pullulanti in età vittoriana, ma destinati per li rami ad arrivare ai giorni nostri e anzi proseguire oltre. La grande dinastia dei detective seriali (a volte donne, non dimentichiamolo) finisce però col gemmare due altre linee di discendenza: come ovvia conseguenza dei misteri alla Sue, quella dei “casi” di grandi ladri come Raffles o Lupin – che finiscono spesso con l’indagare pure loro, risolvendo vicende criminali, trovando tesori etc. – e quella di indagatori su un fronte del tutto diverso, cioè sovrannaturale-fantastico. Il sovrannaturale-meraviglioso afferiva a un contesto dove era ovvio pensare a santi o cavalieri devoti attivi in vere e proprie indagini, a storie edificanti di miracoli e angeli, al confronto col diavolo; il sovrannaturale-fantastico è figlio invece di un’età laica, dove in questione è l’incertezza di un corpus di casi che sovvertono la visione nota del mondo e la necessità di nuovi “specialisti” – non più religiosi nel senso di chiese fin troppo istituzionalizzate (nel poliziesco classico un caso molto particolare è quello del padre Brown di Chesterton, che però opera anche sul fronte psicologico-morale). Vero, il primo detective dell’occulto moderno, il dottor Martin Hesselius di Le Fanu, precede nel 1869 (poi nella raccolta In a Glass Darkly, 1872) il diffondersi modaiolo dei poliziotti e deve parecchio all’Apollonio del Lamia di Keats, 1820, ma il suo successore immediato e più efficiente, il Van Helsing del Dracula di Stoker, 1897, deve almeno qualcosa a Holmes. A differenza che poi nel cinema e nel fumetto, Van Helsing non è un indagatore seriale, bensì una tantum nell’ambito della vicenda che lo vede fronteggiare la battaglia apocalittica contro l’Anticristo transilvano: ma la sua lezione verrà ben appresa dal personaggio di cui parleremo.

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Under the Milky Way


La casa sull’abisso

La montagna morta della vita | FantasyMagazine


Su FantasyMagazine la segnalazione del romanzo La montagna morta della vita, di Michel Bernanos, uscito per la collana Novecento Fantastico dell’editrice Hypnos. Di cosa parliamo?

Torna finalmente in Italia dopo oltre cinquant’anni il capolavoro di Michel BernanosLa montagna morta della vita. Composto nel 1963, pubblicato postumo nel 1967, il romanzo si presenta nella sua prima parte come una classica avventura marinaresca, in perfetto stile hodgsoniano, per poi approdare, con la scoperta di una terra incognita, alla miglior tradizione lovecraftiana, in un’atmosfera visionaria degna della celebre Montagna di Jodorowski.
Il volume, presentato in una nuova traduzione a cura di Elena Furlan, è arricchito da un corposo saggio di Juan Asensio e da una nota al testo di Michele Mari.

“Il mio sguardo fu allora attratto dalla montagna più alta, in fondo, in lontananza. Era rossa come una brace di fucina. E il battito, che per un attimo si era attenuato, cominciò all’improvviso a risuonare con una violenza infernale. Seguì un lungo sospiro, poi la luce livida ridivenne ombra, e la foresta riprese il suo posto, sistemando per bene le foglie nel cielo nero. Il silenzio regnava di nuovo”.

 

La nostra recensione di “Zothique 11” dedicato a Grabinski | HorrorMagazine


Su HorrorMagazine la recensione di Cesare Buttaboni a Zothique11, la rivista weird che ha dedicato in questo numero uno speciale a Stefan Grabinski, edito da Edizioni Hypnos con la pubblicazione Il villaggio nero ma, anche, autore segnalato da altre realtà di genere nostrane. Un estratto della recensione:

Il critico Karol Irzykowski lo ha definito, forse un po’ forzatamente, il “Poe polacco”, ma indubbiamente dal punto di vista del valore il paragone non suona blasfemo. Grabinski è un autore modernissimo, contemporaneo di H.P. Lovecraft. Assieme a quest’ultimo, e ad altri scrittori weird come William Hope Hodgson e Jean Ray, ha contribuito a svecchiare i topos della letteratura gotica sulla base delle nuove scoperte scientifiche di Einstein che hanno ridimensionato l’importanza dell’uomo nel tempo e nello spazio.
Un’altra importante influenza deriva dalla psicanalisi e dalla scoperta dell’inconscio da parte di Freud. Non a caso Francesco Corigliano, nel suo ottimo La letteratura weird. Narrare l’impensabile, ha paragonato l’opera di Lovecraft e Jean Ray a quella di Stefan Grabinski, tutti autori che hanno saputi cogliere le pulsioni della modernità. Ora, dopo Il villaggio nero – edito da Edizioni Hypnos  e tradotto da Andrea Bonazzi, che è stato anche un pioniere nel far conoscere lo scrittore polacco in un numero della fanzine Hypnos ormai introvabile – e Il demone del moto edito da Stampa Alternativa, la rivista Zothique (curata dall’instancabile Pietro Guarriello) dedica uno speciale all’autore.

Come sempre gli interventi sono molto approfonditi: Michols Magnolia in Vita di Stefan Grabinski: dalla Polonia alla Fantasia ci parla della biografia dello scrittore e dei suoi temi, individuando anche un possibile parallelo con H.P. Lovecraft (le affinità tra i due sono evidenti, tanto che Stanislaw Lem ha definito Grabinski “il Lovecraft polacco”).
Sicuramente i due hanno punti in comune, ma bisogna stare attenti alle forzature. La narrativa di Grabinski è molto originale e assomiglia solo a se stessa, come ben mette in luce Obsidian Mirror nel suo articolo Il villaggio nero. Obsidian Mirror analizza alcuni dei racconti migliori di Grabinski mettendo in relazione gli agganci con la filosofia di Bergson e il suo concetto di tempo.

Sulla letteratura fantastica è invece un saggio dello stesso Grabinski in cui vengono messi in luce i suoi gusti e la sua idea di fantastico. Sostanzialmente l’autore divide il fantastico in “moderno” (diretto, esteriore e convenzionale) e “di ordine superiore” (interiore, psicologico o metafisico) da lui definito “psicofantastico” o “metafantastico”. Nel primo tipo fa rientrare E.T.A. Hoffmann, autore da lui non particolarmente apprezzato, mentre del secondo fa parte ovviamente Edgar Allan Poe. Molto interessante anche l’intervista a Grabinski in cui l’autore ribadisce proprio la sua affinità con Poe piuttosto con E.T.A. Hoffmann. Dice inoltre di apprezzare Alfred Kubin e Gustav Meyrink mentre, un po’ a sorpresa, non nasconde il suo disprezzo per Hanns Heinz Ewers da lui ritenuto un ciarlatano e dichiara il suo orrore per i critici che lo paragonano alla sua opera.

I demoni del mare: la nostra recensione del volume di racconti di William Hope Hodgson | HorrorMagazine


Su HorrorMagazine la recensione, a cura di Cesare Buttaboni, del terzo volume che Hypnos ha dedicato a William Hope Hodgson: I demoni del mare; eccone un breve estratto:

La cura dei tre volumi è di Pietro Guarriello, uno de maggiori esperti di fantastico in Italia, che introduce con passione e competenza ogni racconto. Guarriello firma inoltre l’interessante postfazione in cui analizza Naufragio nell’’ignoto e I pirati fantasma, i due romanzi sempre attinenti agli orrori provenienti dal mare.

Ho trovato molto interessante e calzante il paragone di Guarriello che accosta gli “uomini-alga” evocati da Hodgson in Naufragio nell’’ignoto alle creature marine di L’ombra su Innsmouth di H.P. Lovecraft.
Il livello delle storie qui presenti è alterno: a racconti splendidi e ricchi di una forte immaginazione ne corrispondono altri che, pur non essendo disprezzabili, sono meno significativi all’interno del “corpus” della sua opera. Lo stesso vale per lo stile che non sempre si mantiene su livelli alti e alle volte risulta addirittura sciatto. La voce nell’alba è senza dubbio un capolavoro. La vicenda è ambientata nel Mar dei Sargassi e va a completare i cosiddetti “Racconti del Mar dei Sargassi” in cui il nostro era un maestro (lo conosceva per esperienza personale). L’avvistamento di un’isola formata dalle alghe e la sua conseguente perlustrazione rivelano qualcosa di straordinario. Il senso di mistero soprannaturale è notevole e Hodgson è al suo meglio nel descrivere, così come sottolineava H.P. Lovecraft in L’orrore soprannaturale in letteratura“la vicinanza di forze innominabili e di mostruose entità incombenti”.

 

I Demoni del Mare | FantasyMagazine


Su FantasyMagazine la segnalazione di I Demoni del Mare, raccolta di racconti (la terza uscita per Hypnos) di W. H. Hodgson. La quarta:

Con I demoni del mare  si conclude il progetto, unico in Italia e nel mondo, che raccoglie tutti i racconti di mare di William Hope Hodgson. Le quattordici storie qui presentate appartengono all’ultima fase della carriera (e della vita) di Hodgson, e comprendono capolavori come “I demoni del mare” e “Gli abitanti di Middle Islet”, oltre a diversi racconti sinora inediti in Italia, tutti in una nuova traduzione basata sui testi originari come voluti dall’autore.

L’importanza de “La casa sull’abisso” di Hodgson nell’evoluzione dei Miti di Cthulhu – Ver Sacrum


Su VerSacrum la recensione di Cesare Buttaboni a uno dei pilastri della letteratura fantastica mondiale: La casa sull’abisso, di William Hope Hodgson.
Perché questo testo è così importante? Perché è uno dei primi esempi di cross-over tra generi, weird e SF si danno la mano in un compendio che prevede anche le future incursioni di Lovecraft, dove l’oscurità è sì un luogo dell’anima, ma anche fisico, siderale, un incubo…

La casa sull’abisso è un romanzo “incubo” che descrive le angosciose vicissitudini di un “Recluso”, abitante, assieme alla sorella e al cane Pepper, di una casa irlandese sperduta, situata in una regione ignota alle cartine geografiche nei pressi del villaggio di Kraighten: la casa diventa il fulcro dove si scatenano allucinanti e diaboliche potenze extra-cosmiche che assumono la forma di orripilanti creature dall’aspetto suino, simbolo dei fantasmi che si annidano nella psiche umana portati alla luce da Freud, dimostrazione dell’estrema modernità dell’opera “hodgsoniana”. La casa, con le sue stanze, è una sorta di metafora dell’essere umano: la parte superiore aspira al cielo e al Paradiso mentre la cantina simboleggia invece il lato più oscuro in cui si annidano gli inferni personali che celano i mostri nascosti nell’inconscio.

L’atmosfera che si respira è di una solitudine metafisica assoluta che rende l’opera unica nel suo genere: il Recluso si dedica allo studio e passa molto del suo tempo nello scrittoio. Un giorno la sorella viene attaccata dalle misteriose creature suine: è l’inizio di un assedio spietato in cui il Recluso si difenderà con ogni mezzo prendendo a fucilate i mostri. A questo punto inizia un’accurata esplorazione dei dintorni della casa: scopre che la casa è sospesa per mezzo di una roccia su un pozzo di una profondità insondabile: un vero e proprio Abisso. Esplora poi le cantine dove scopre una botola di quercia che protegge la casa da un enigmatico pozzo: scoprirà poi che si tratta di un prolungamento dell’Abisso.

Nel corso delle sue disavventure il Recluso avrà delle terrificanti “visioni” in cui la casa viene riprodotta su scala gigantesca ed è assediata da un enorme essere suino di colore verde. In un’altra allucinazione “vede” – in un vero e proprio viaggio al di là del tempo e dello spazio – il collasso del sistema solare e della terra e verrà catapultato al centro dell’universo dove si troverà di fronte due soli, uno nero e uno verde: questa “visione” rappresenta qualcosa di realmente incredibile: è l’essenza stessa dell’orrore cosmico e prefigura e supera molta fantascienza successiva. Dal sole verde si staccano dei globi in cui riesce a penetrare e a ”vedere” la sua” amata” e a trovare la pace in una sorta di limbo chiamato “mare del sonno”. Da quello nero fuoriescono globi oscuri che lo proiettano in una sorta di Inferno denominato “La pianura del silenzio” dove vede la casa assediata dalla creatura gigantesca e vi entra all’interno. Qui termina il suo viaggio “iniziatico”, ricco di simbolismi a cui alludeva lo stesso Hodgson all’inizio del testo. Il viaggio metafisico e temporale del protagonista è quello che si definisce un vero e proprio “viaggio astrale”. Non è così sorprendente questo aspetto “occulto” del romanzo tenendo conto che queste tematiche erano all’epoca molto diffuse: basti pensare alla notorietà di un personaggio come Crowley e alla celebre Golden Dawn, società segreta basata sulla Qabalah di cui però Hodgson, a differenza di Arthur Machen e altri nomi celebri, non ha mai fatto parte.

Gli abissi che si celano sotto la casa da cui fuoriescono gli esseri extra-terrestri sono una metafora degli insondabili segreti dell’inconscio umano.  La casa sull’abisso è un’opera ricca di riferimenti ermetici ed esoterici: il libro può essere “letto” sia su un piano microcosmico che su quello macrocosmico. Non a caso il celebre critico Jacques Van Herp l’ha definito “un piano d’interpretazione di altri piani”, definizione quantomai calzante che coglie in pieno l’atmosfera “incubica” del romanzo. La casa si trova “on the borderland” ovvero sul confine su altre dimensioni ignote del reale. L’edificio rappresenta il microcosmo, sorta di “piccolo Inferno” personale del protagonista mentre il modello gigantesco dell’edificio nella Pianura del Silenzio che il Recluso scorge nella sua “visione” simboleggia il macrocosmo. La struttura dei diversi “piani” e modelli della casa sembrano riflettere le parole del grande Ermete Trismegisto: “ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò che è in alto è come ciò che è in basso, per fare i miracoli della realtà una”.

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