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NeXT Hyper ObscureArchivio per aprile 3, 2018
New Routines Every Day – You Never Know What Is Enough / Unless You Know What Is More Than Enough | Neural
[Letto su Neural]
Suoni delicatissimi, altrettanto sommesse armonie e nessun editing successivo. “Quello che viene registrato è quello che verrà ascoltato” tenevano a sottolineare gli autori, Rudy Decelière e Marcel Chagrin, che, dopo una lunga collaborazione, adottano per questa loro prima uscita ufficiale il moniker di New Routines Every Day. L’intero album è stato registrato a Losanna in una settimana di lavoro molto serrato e intenso. Ognuna delle tracce presentate sembra essere partecipe di un impianto assai omogeneo, dove ogni scelta produce un effetto preciso e in successione, con articolazioni coerenti e integrate fra loro tanto da creare atmosfere sospese, complici e un po’ oniriche. Le suggestioni evocate dal duo sembrano intrise da una qualità tutta cinematica, forgiate fra innesti folk e minimalismi, plumbei e melodiosi intrecci, mollemente calibrate evoluzioni musicali in bilico tra free form ed un approccio maggiormente studiato, dove un’opzione non esclude l’altra, al fine di rendere meno prevedibile l’ascolto. Anche il titolo, You Never Know What Is Enough / Unless You Know What Is More Than Enough, una citazione da William Blake, sembra alludere a una disposizione multisensoriale e reattiva di modulazioni percettive infinitesimali, quasi ci sia bisogno d’una sintonia differente e più nobile nello spaesamento insito, nelle vibrazioni d’energia, nei gocciolii, nei fruscii, nei gemiti prodotti e negli scampanellii. Si sente, insomma, che Rudy Decelière sia avvezzo a paesaggi sonori e a una costruzione “architettonica” della musicalità e che Marcel Chagrin vanti una metodologia dallo stile polimorfico, capace di dar vita a sorprese e trasalimenti, che rendono gradevolissima la fruizione pur nelle parti più sperimentali, intrise da centellinati esotismi e da un “chitarrismo” contemporaneo, rarefatto e un po’ indie. Anche i passaggi delle ambientazioni – fra i solchi – si fanno progressivamente più sfumati e il pubblico è investito da questa mutazione. Non è un caso allora che l’album possa piacere agli amanti del post-rock o a hipster raffinati, ai più attempati cultori di stilemi freak-improvvisativi o agli aficionado della musica ripetitiva e quietista. È una sinfonia mentale quella che coinvolge l’ascoltatore in uno stato meditativo fluttuante. E a un simile coinvolgimento diventa impossibile opporre resistenza alcuna.
Orrore e follia nel genio di Poe – Parte seconda | HorrorMagazine
Su HorrorMagazine la seconda parte di tre del piccolo saggio di Sandro Fossemò dedicato a Poe e alla lettura psicoanalitica delle sue opere.
Secondo Poe, colui che sognava a occhi aperti sviluppava molta fantasia ed era in grado di comprendere la realtà nella sua complessità al prezzo di uno stato di dissociazione visionaria diretta a esprimere una “suprema forma d’intelligenza”. Gli stati di alterazione psichica erano un mezzo per sviluppare fantasia creativa perché permettevano all’inconscio di emergere vertiginosamente nella sfera percettiva. Una caratteristica della percezione geniale consiste nella compenetrazione tra sogno e realtà provocata da stati mentali alterati, forse dovuti a traumi psicologici o all’assunzione di sostanze stupefacenti, in cui avviene la dissociazione dal reale. Carl Gustav Jung (1875-1961) analizza ottimamente il fenomeno in cui l’individuo perde la cognizione della realtà per lasciare spazio all’inconscio.
La forze eruttate dalla psiche collettiva portano confusione e cecità mentale. Una conseguenza della dissoluzione della persona è lo scatenamento della fantasia che, evidentemente, è né più né meno che l’attività specifica della psiche collettiva. Questa irruzione di elementi fantastici introduce violentemente nella coscienza materiali e impulsi della cui esistenza non si aveva alcun sospetto. Si scoprono tutti i tesori del pensiero e del sentimento mitologico. Non è sempre facile resistere a impressioni talmente travolgenti. Questa fase va annoverata tra quelle che rappresentano un vero pericolo nel corso dell’analisi, pericolo da non sottovalutarsi.
Si comprenderà facilmente come questa condizione sia talmente insopportabile che l’individuo desidera porvi termine al più presto possibile, dato che la somiglianza con l’alienazione mentale è finanche troppo stretta. Come è noto, la forma più comune di pazzia , la demenza precoce o schizofrenia, consiste essenzialmente nel fatto che l’inconscio espelle e soppianta, in larga misura, le funzioni della mente cosciente. L’inconscio usurpa le funzioni del reale e vi sostituisce una propria realtà. I pensieri inconsci diventano udibili sotto forma di voci, oppure sono percepiti come illusioni o allucinazioni corporee, ovvero si manifestano sotto forma di giudizi insensati, ma irremovibili, sostenuti in opposizioni alla realtà.
Allorché la persona si dissolve nella psiche collettiva, l’inconscio viene spinto entro la coscienza in un modo simile, ma non identico. L’unica differenza rispetto allo stato di alienazione mentale è che l’inconscio viene portato in superficie mediante l’analisi cosciente; almeno questo è ciò che accade al principio dell’analisi, quando si devono ancora superare forti resistenze di ordine culturale. Più tardi, dopo l’abbattimento di barriere erette nel corso di anni, l’inconscio invade la coscienza spontaneamente e talvolta irrompe nella mente come una fiumana. In questa fase la somiglianza con l’alienazione mentale è strettissima. Però si tratterebbe di vera follia solo se i contenuti dell’inconscio diventassero una realtà che prendesse il posto della realtà cosciente; in altri termini, se il soggetto vi prestasse fede senza riserve.
Solo una mente preparata come quella di Poe era pronta ad accogliere le invasioni dell’inconscio senza crollare completamente nella totale alienazione mentale perché lo scrittore era genialmente in grado di sfruttare la disfunzione percettiva come mezzo conoscitivo della realtà, servendosi dell’analisi razionale della propria fantasia. Di conseguenza, Poe non era uno schizofrenico che aveva completamente perduto il senso del reale, ma piuttosto era un forte visionario, pieno di talento, capace di interpretare coscientemente le proprie visioni. L’analisi junghiana sulla dissociazione della realtà con particolare visioni trova quasi un certo riscontro quando lo scrittore descriveva il suo stato mentale nei momenti in cui “sognava a occhi aperti” nel saggio Marginalia, facendo proprio riferimento in modo impreciso a delle improvvise “fantasie”.
Il C.U.O.R.E. di Davide Del Popolo Riolo (e le tasse) | Fantascienza.com
Su Fantascienza.com la segnalazione id una nuova produzione per Davide Del Popolo Riolo, in uscita per Delos Digital: La crisi del C.U.O.R.E.
Cento miliardi. Duecento miliardi. A seconda di come la si calcola e di cosa vi si include, comunque sia l’evasione fiscale in Italia ammonta a cifre esorbitanti. Un tesoro che potrebbe permettere di risanare i debiti, abbassare le tasse, garantire sussidi o redditi di cittadinanza, ma che resta invece in gran parte inaccessibile.
In un ipotetico futuro però le cose potrebbero cambiare: con un sistema esperto, o forse qualcosa di più che esperto, capace di incrociare ogni dato possibile per individuare gli evasori. Lo immagina Davide Del Popolo Riolo, che aveva già affrontato brillantemente un tema simile in Erasmo pubblicato in questa collana.
Con la sua consueta arguzia e il suo umorismo sottile, questa volta ci porta nei sotterranei del MEF, a scoprire una verità inquietante in una storia che non stonerebbe nella serie della Lavanderia di Charles Stross.
Oh my ( ), the Twitter of Babel | Neural
[Letto su Neural]
Una delle storie più potenti riguardo all’incomunicabilità è innegabilmente quella della Torre di Babele. Usata come metafora, per come è stata concepita, un’infinità di volte, è diventata sinonimo del diventare estranei linguisticamente parlando l’uno con l’altro. Anche se questa è l’interpretazione corretta c’è una situazione drammatica nella storia che per lo più è sfuggita, quando tutti cominciano a capire la propria mancanza di capacità linguistica e in che modo questa è la conseguenza della punizione di Dio. Proprio quel momento è interpretato da Noriyuki Suzuki nell’installazione “Oh my ( )” che lo traspone nel nostro ambiente online infinito . È composto da altoparlanti che suonano “oh my [god]” dove god è tradotto in quarantotto lingue, nel momento in cui su Twitter compare un testo che contiene la parola “god” nelle varie lingue. Con le parole costanti e la frequenza variabile delle stesse/diverse parole pronunciate, l’installazione mette in scena una perfetta ricostruzione/adattamento, risultando una metafora universale con la semplicità del presente.