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Archivio per marzo 5, 2019

Un Fascismo della crisi – Carmilla on line


In fondo, quello di oggi, non è che l’ennesima fase del processo di ristrutturazione di un capitalismo putrescente che per continuare a vivere deve, per forza, liberarsi dai fastidi della contrattazione politica, dal peso dello stato sociale. Un necrocapitalismo che, producendo più morte che benessere, esige al suo fianco un guardiano inflessibile e spietato. Il fascismo di oggi non necessita più di eugenetica e simbolismi arcaici, semplicemente fa leva sulla perenne emergenza, sull’ansia del domani, sulla mancanza materiale e sull’assenza spirituale, è un Fascismo della Crisi.
Ecco perché, ben oltre le divisioni partitiche, a gestire le leve del potere può aspirare solo chi della paura e della sicurezza ne ha fatto i suoi cavalli di battaglia. Perché paura e sicurezza sono oggi, nell’era della crisi permanente, il vero strumento di governo della popolazione.

Su CarmillaOnLine un lungo articolo che analizza il perché neoliberista di questi anni, mettendolo in relazione con i decenni finali del secolo scorso – certo, usando un lessico un filo datato, c’è da ammetterlo, ma che comunque non annacqua le idee.

Sul cosiddetto scacchiere internazionale è la fase 1989-91 che segna un punto di svolta: il crollo del Muro di Berlino e dell’URSS, anche se ormai in declino tra gli stessi socialisti/rivoluzionari, trascina nel baratro con sé anche il più solido punto di riferimento storico e politico di antagonismo al sistema capitalista. Senza il socialismo reale anche tutte le altre eresie socialiste autonome occidentali e/o terzomondiste ne escono indebolite, e così il neoliberismo anglosassone si estende a macchia d’olio imponendo ovunque i suoi meccanismi, imponendosi come unico pensiero dominante e come unica cultura ufficiale. La sua narrazione dipinge una società in cui sono scomparse tutte le divisioni di classe in virtù di un comune cammino dell’umanità intera verso un progresso che altro non è che accumulazione compulsiva di capitale su scala planetaria: la Storia si vuole finita.

Ma nonostante tutte le mistificazioni la Storia continua il suo corso. Le crisi economiche sempre più frequenti, le crescenti disparità sociali che dalla seconda metà dei ‘90 fino ad oggi, con la crisi strutturale che dura dal 2008 e segna una nuova fase storica del capitalismo globale, scadenzano il ritmo della Democrazia del Libero Mercato e dimostrano come sotto la cenere ci siano braci che ancora scottano e ferite che sono ben lungi dal rimarginarsi: se per alcuni la ricchezza sale vertiginosamente, per molti altri il piatto si impoverisce di giorno in giorno.

Esplosioni incontrollate di rabbia delle periferie (dalla Los Angeles del ‘92 alla Parigi dei Gilets Jaunes), movimenti di critica antisistemica (No Global, Occupy, Indignados ecc.) stanno a testimoniare come non ci sia effettivamente nulla di pacificato sotto il sole d’Occidente.
La Storia continua a riemergere dall’abisso ogni volta che un ghetto americano insorge contro la brutalità della polizia, ogni volta che una nuova manovra finanziaria viene battezzata a colpi di molotov davanti al parlamento ellenico, ad ogni resistenza ai tentativi di golpe in America Latina, ad ogni resistenza del popolo curdo ai disegni genocidi ed imperialisti che si stendono sulla Siria.
Il neoliberismo voleva la Storia finita perché voleva, sostanzialmente, la resa incondizionata dei popoli al suo volere, ogni resistenza avrebbe dovuto perdere la sua ragion d’essere di fronte ad una sconfitta annunciata.

La risposta degli Stati è, a grandi linee, sempre la stessa: da un lato repressione, zero tolleranza, disciplina del manganello; dall’altro la normalizzazione delle richieste più compatibili, la cooptazione delle frange più moderate nella gestione del presente.
Lo Stato Neoliberista non ammette critiche né compromessi che devino dalla sua rotta, è uno Stato dominato dalle logiche di polizia: uno Stato di controinsurrezione permanente.
Anche senza i connotati e le liturgie tipici dei totalitarismi di destra, un’istituzione statuale che ha come obbiettivi cardine il contenimento preventivo di ogni istanza proletaria e la tutela assoluta delle necessità del Capitale, non fatica a essere definito fascista; questo d’altronde è il ruolo storico che qualsiasi lettura materialista della Storia assegna al fenomeno fascismo.

Quello che il Capitale cerca è un popolo che non conosce divisioni al suo interno, che opera in armonia per la prosperità della propria nazione, un popolo che dall’alto della sua superiorità morale, della sua bianchezza, si definisce a partire dalla negazione dell’altro e che non può accettare una critica volta al cambiamento radicale della sua essenza, un popolo che per sentirsi sicuro deve percepirsi asserragliato tra nemici dai lineamenti tanto vaghi da essere quelli di chiunque attorno a sé.
Una tale fisionomia calza a pennello alla società di Reagan, di Salvini o di Hitler praticamente alla stessa maniera. Neoliberismo e Fascismo si somigliano già nel guardarsi allo specchio.

Questi i punti cardine da tenere sempre a mente per avere un quadro esaustivo di ciò che accade. Qualsiasi altra chiave interpretativa è ingannevole, il Liberismo è assai semplice nelle sue strutture, molto meno che banale, e ciò si trascina dietro il Fascismo perché il primo ha il capitale, il secondo le braccia.

Nascondigli nidificati


Rincorro i tuoi ideali su un prato verde, smeraldo di una complessità astronomica che si riflette sui riverberi che tu noti, ombre nascoste lì dentro.

Rimani qui


Regolato su valori intrinseci, rimani ad ascoltare la indiscutibile estensione del tuo bioma, affinché tu possa essere relegato su questo insulso ordine dimensionale.

T H E : N e X T : S T A T I O N – Totalitarismi, ruoli di genere e maternità: uno sguardo alla narrativa distopica delle donne


Su NeXT-Station è appena uscito un articolo di Linda De Santi che intercetta le linee semantiche tracciate a partire dalle distopie di Margaret Atwood. Un estratto:

Da qualche tempo il panorama narrativo contemporaneo si è arricchito di distopie scritte da donne, soprattutto in seguito al successo della trasposizione televisiva di Il racconto dell’ancella. La narrativa fantascientifica e l’attenzione del pubblico si rivolgono oggi con crescente interesse ai temi dei diritti delle donne.
In realtà la narrativa distopica femminile non è un fenomeno recente: le donne scrivono distopie da decenni e già autrici come Ursula K. Le Guin, Octavia Butler, Angela Carter hanno affrontato i temi su cui oggi si sta concentrando l’attenzione di scrittrici e lettori. Tra questi troviamo i ruoli di genere e i loro vincoli, ma anche, più in generale, i temi della parità e dell’uguaglianza, e il timore che il percorso dell’umanità verso il loro pieno raggiungimento possa essere arrestato o addirittura invertito (“L’idea che la storia progredirà sempre è una fantasia”, ha detto Margaret Atwood in una recente intervista).
Su questo primo corpo di letteratura si basano anche le opere distopiche femministe più recenti, in cui, come da tradizione del genere, la lente della fantascienza viene usata per far risaltare alcune preoccupazioni che pervadono la contemporaneità. (Per approfondimenti sul genere distopico, si veda anche l’articolo di Salvatore Proietti Distopia, Andata e Ritorno.)

Rudolf Eb.er – Om Kult: Ritual Practice of Conscious Dying – Vol. I | Neural


[Letto su Neural]

Quando certe sonorità rimandano dichiaratamente a “incantesimi psicomagici e istruzioni yoga occulte”, ma allo stesso tempo si rifanno anche a pratiche d’esoterici sottogeneri elettronici e noisy, non si può non pensare a William Seward Burroughs, che ci ricorda come tutte le arti – pittura, danza, musica, scultura – fossero originariamente delle forme d’interpretazione magica del “reale”. Le iterazioni elettroniche, la radicalità d’un loop ed il suo concatenarsi con altre trame possono allora diventare “rituali di pulizia psico-spirituale”, con frasi mandate al contrario, droni ipnotici, risonanze spettrali e crepitii vari. Insomma, in un’epoca oramai che è ben oltre il post-cyber ci ritroviamo ancora a maneggiare suggestioni che hanno a che fare con gli intrecci teorici fra primitivismo e tecnologia. Quello che è davvero insano è che tutto questo ancora ci coinvolga, l’approccio sciamanico e scientifico, la fisica delle onde elettroniche e l’esoterismo di stati meditativi indotti artificialmente. Ci si ritrova in un girone infernale di click, trattamenti industrial e scoppiettanti emergenze auditive, fra voci ad arte sfasate, frequenze taglienti e gutturali emissioni. Om Kult: Ritual Practice of Conscious Dying è solo la prima parte di una trilogia pianificata e che questi 31 frammenti siano solo l’inizio di un viaggio meditativo molto profondo, che sposa fisicità, coscienza, ambientazioni pseudo-realistiche, field recording e inquietanti fantasmagoriche pulsioni aliene. Ci sono innumerevoli trattamenti meno evidenti, anche agiti in momenti nei quali l’attenzione è più attratta da elementi forti e – seppure riteniamo che l’ascolto d’una simile produzione debba rimanere viscerale, non mediato da alcun concettualismo – l’equilibrio è sempre molto precario. Naturalmente questa interpretazione non ne esclude altre, perché le ragioni per trovare ingegnosa, interessante ed astratta l’uscita certo non mancano, alimentate dalla stessa spinta zen di Rudolf Eb.er e dal suo background filosofico e simbolico, elementi forse un tantino criptici ma che comunque si sentono attraverso i solchi, driblando le fascinazioni black metal, l’elettronica torbida e i trattamenti più grotteschi. Lo stesso artista-performer tiene a suggerire che “le idee dimenticate crescono nella mente inconscia e ricominciano a fiorire in maniera nuova”. Qualcosa di simile deve essere accaduto a Rudolf Eb.er dopo “Brainectar” – uscito nel 2014 – quando tutto un mondo ha iniziato a prendere forma completa, anche se in maniera inaspettata, con suoni e tecniche d’espansione della coscienza che vanno di pari passo causando sibillini effetti, sia estetici che metafisici.

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