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Archivio per marzo 27, 2019

La parte eterea


Seguono i risvolti di una storia mai troppo percepibile, gli aspetti di un luogo o di persone mai sviscerate del tutto, le zone d’ombra che si palesano a ogni esternazione e rendono la melassa del reale una trappola; devi avere sempre presente tutto ciò, quando analizzi ciò che hai intorno e credi di percepire, giungendo a giudizi sbagliati e trascurando la tua parte eterea.

Media-Trek » Blog Archive » Rock italiano? Si grazie


Il punto di Mario Gazzola sul nuovo rock italiano. Dal blog di Ernesto Assante, su Repubblica. Un estratto:

Nei confronti del rock italiano c’è stato, per anni, un pregiudizio. Perchè ascoltare copie italiane quando posso ascoltare gli originali internazionali? Le cose stanno cambiando, per merito di una nuova curiosità del pubblico, di meno “esterofilia” e per una decisa crescita delle band italiane. Ma non cambierà mai nulla se noi per primi non siamo disponibili ad ascoltare, per esempio, l’originale sintesi punk/dark/prog dei bresciani Mugshots (attualmente in studio con la punk queen Gaye Advert degli Adverts) quanto lo siamo per qualche nuova doom/sludge band di Seattle che le fanzine specializzate ci segnalano come next big thing; oppure l’horror metal dei Death SS, acclamatissime star dei festival Gods of Metal nonché pionieri di quell’iconografia shock-satanico-cimiteriale che ha reso famosi nel mondo gli eccessi di Rob Zombie e Marilyn Manson.
Ecco, se volete far giustizia proprio a questi ultimi, potete affrontare il monumentale cofanetto di 3 cd edito da Black Widow e intitolato Terror Tales (uno storico pulp magazine degli anni ’30 e un fumetto horror dei ’60, le cui tavole a base di mostri e fanciulle discinte sono evocate nel packaging del box set), in cui ben 35 band italiane e non solo omaggiano i cosiddetti Kings of Evil reinterpretando altrettanti brani della loro ormai ultratrentennale e tenebrosissima discografia. Offrendoci così l’occasione di osservare i loro apocalittici cavalli di battaglia rifulgere in “tutti i colori del buio”: perché se è vero che hard classico, thrash, speed e black metal la fanno da padroni, gli spunti più originali vengono dai gruppi di meno stretta osservanza metallica: come i già citati Mugshots (qui coadiuvati dal black metaller norvegese Mortiis), che portano in luce il glam di In The Darkness, o i Blue Dawn, che rendono Zombie un emozionante e drammatico duetto voce maschile-femminile dark psichedelico, i francesi Northwinds che aprono Lilith con ricercati ricami di flauto da Jethro Tull, e Il Segno del Comando, che fa di Another Life una ballata dark wave con dilatazioni progressive d’organo.
Non un ascolto facile, ma con diverse sorprese, come del resto l’articolata discografia della “Sylvester family” che – ridendo e terrorizzando – ha spaziato dal punk-metal alla Misfits ad un cyber metal postapocalittico, dalle freakerie circensi (Humanomalies) alla psichedelia più malata e mansoniana (i Sancta Sanctorum). E che il prossimo 12 aprile si arricchisce anche dell’album solista del tastierista Freddy Delirio, che debutta con The Cross (sempre su Black Widow), accompagnato dai misteriosi The Phantoms dai volti mascherati come quelli dei Ghost (ma con ospite Steve Sylvester), coi quali approfondisce le radici progressive del goth metal per cui la congrega è nota, con solenni architetture che non temono di baroccheggiare fra incenso e zolfo.

Il Segno del Comando
E, proprio a proposito di quest’ultima band (che prende nome dal romanzo di Giuseppe D’Agata, da cui anche lo storico sceneggiato RAI), sempre la Black Widow ha da poco lanciato l’ultimo album: L’incanto dello Zero, racchiuso in una cosmica copertina che rimanda chiaramente alle geometrie spaziali dei Blue Öyster Cult: come se i ’70 non fossero mai finiti, i fantasmi del Banco e degli Area di Demetrio si librano dalle solenni atmosfere hard-dark-prog del sestetto genovese, in particolare dalla stentorea voce di Riccardo Morello (con ospiti Maethelyah e Paul Nash dei nuovi Danse Society). Anche fra qualche ampollosità (anche nei testi in italiano), apprezzerete i loro ricchi e policromi intrecci strumentali.

Suicide Club | FantasyMagazine


Su FantasyMagazine la segnalazione di Suicide Club, romanzo distopico di Rachel Heng. La sinossi:

Lea ha cento anni e ne dimostra meno di quaranta, grazie agli straordinari progressi della medicina, che permettono ad alcune persone – selezionate alla nascita – di triplicare la durata della vita. Tutto quello che devono fare è attenersi scrupolosamente alle regole del benessere. Lea non mangia cibi grassi, non beve alcolici, non ascolta musica deprimente, non si allena né troppo intensamente né troppo poco. È la candidata ideale per accedere a una nuova fase sperimentale di cure, destinata a prolungare l’esistenza all’infinito.

Un giorno, però, tornando dal lavoro, Lea vede suo padre dall’altra parte della strada, un padre con cui non ha rapporti da ottantotto anni. Per raggiungerlo, si lancia in mezzo al traffico e per poco non viene investita. Quel semplice gesto è la sua rovina: come può essere degna dell’immortalità una persona che agisce in modo tanto sconsiderato? In un attimo, il suo nome viene depennato dalla lista dei prescelti e lei è costretta a frequentare un gruppo di sostegno. Ed è qui che entra in contatto con alcuni membri del Suicide Club, un gruppo di ribelli che si batte per poter scegliere come e quando morire. E suo padre è uno dei membri. Dapprima sconcertata, a poco a poco Lea si rende conto che questi uomini e queste donne – che mangiano quello che vogliono, vanno a concerti clandestini, praticano sport estremi – hanno accumulato più esperienze in un anno di quante non ne abbia fatte lei in una vita intera. D’un tratto, la prospettiva di vivere un’eternità di rinunce non è più così allettante. Ma ben presto si renderà conto che tutto ha un prezzo, e quello per la libertà potrebbe essere troppo alto…

Fuggiaschi e reietti, cioè Romani | Studia Humanitatis – παιδεία


Su StudiaHumanitas un post circostanziato, dal punto di vista storico e anche antropologico, sul film Il primo Re, dedicato alla storia mitizzata di Romolo e Remo, e della fondazione di Roma. Un estratto significativo, ma verrebbe voglia di incollare tutto il post (ok, lo faccio).

Una docente universitaria di Storia antica ha visto il film «Il primo re» sulla leggenda di Romolo. Attori convincenti, ispirazione poetica, un profondo senso del sacro

La leggenda di Roma è uno dei miti di fondazione più complessi del mondo, una stratificazione di storie, leggende e presunti avvenimenti. Alla fine del II millennio il Lazio e i colli erano già abitati da trenta popoli latini, insediati in villaggi e facenti capo ad Alba Longa. Il sito che sarà di Roma era incentrato su un guado del Tevere poco più a valle dell’Isola Tiberina, ai piedi dell’Aventino. Di qui passava la strada del sale (via Salaria), elemento essenziale dell’alimentazione e della conservazione dei cibi, conteso fra i popoli italici. In quest’area già un secolo prima di Romolo c’era il centro proto-urbano Septimontium, cioè «cime divise», articolato in clan di tipo tribale, le gentes, le cui terre erano coltivate dai loro servi o clientes. Erano i Latini, i cui patres più eminenti si riunivano in assemblea, pur in assenza di un centro urbano unitario.

Secondo il folklore locale, i capi primordiali del Palatino erano re discendenti da Marte: Pico (il picchio), Fauno (il lupo) e Latino, associato a una scrofa madre di trenta maialini, cioè i trenta popoli del Lazio. La mitica dinastia dei Silvi («silvani») si conclude con i fratelli Amulio e Numitore. La figlia di Numitore, vergine sacerdotessa posta a custodire il focolare di Vesta ad Alba, è ingravidata dal dio Marte; nascono così due gemelli, di cui il maggiore è Romo o Remo, il secondo Romolo. Entrambi i nomi derivano da Rumon, nome etrusco del Tevere.

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Cronache dalla Val Lemuria | FantasyMagazine


Su FantasyMagazine la segnalazione di una nuova uscita Hypnos; Cronache dalla Val Lemuria, racconti di Cristiano Demicheli. Ecco la quarta:

Da Genova (o da qualunque altra località civile) sono tre le strade per raggiungere la Val Lemuria. Il confine non è indicato da nessun cartello eppure, quando lo si supera, è difficile non accorgersene. Il paesaggio diventa subito più cupo e selvaggio. Boscaglie intricate si arricciano sui versanti della gola tortuosa scavata dal rio Aneto, mentre le montagne, dalle cime tipicamente coperte di nebbia, incombono opprimenti.  È la Val Lemuria, dove è possibile udire il verso del pappagufo, imbattersi nelle tracce dei misteriosi Cecìni, o essere travolti dalla Birta Odlata… Hic sunt lemures: qui ci sono gli spettri!

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