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NeXT Hyper ObscureArchivio per ottobre 31, 2020
A Walk in Twilight – Happy Halloween from Ksenja Laginja, Stefano Bertoli e Sandro Battisti
UpLoween in reading, a tema, per Samhain; in musica, parole, empatia oscura e poesia. Per voi, un piccolo regalo.
Invidia
Lasciti di un pensiero avariato che regna ancora, come un vampiro che non veda mai sole ed è invidioso della vita.
Misantropia mentale
Posseggo una estrema predilezione a vivere una certa distanza psichica con qualsiasi entità antropomorfa, trovo fuorvianti le vicinanze, trovo dannose le parole spese per rinsaldare quella prossimità.
“Meddle”: i Pink Floyd arrivano al cuore del rock progressivo | OndaMusicale
Su OndaMusicale un bel post che celebra i 49 anni dell’album Meedle, dei Pink Floyd, uscito proprio il 31 ottobre ’71. Vi lascio alle parole del post, magnifiche e tecniche al punto giusto.
Grazie anche alla scelta di John Leckie come tecnico del suono (pare dettata dalla predilezione di questi a lavorare al mattino, quando i musicisti ancora dormivano), inizia a circolare un abbozzo intitolato “Nothing – Parts 1 to 24”. Attraverso un lungo lavoro il pezzo diventerà prima “Son of Nothing”, poi “The Return of the Son of Nothing” e infine la suite “Echoes”.
Le altre canzoni vengono fuori da un lavoro di gruppo della band che, d’ora in poi, non sarà mai più coesa, e specialmente dal lavoro combinato di David Gilmour e di un Richard Wright in stato di grazia. “Meddle” è infatti il disco preferito dei sostenitori dell’accoppiata Gilmour-Wright, a dispetto dei sostenitori del Deus ex Machina Roger Waters. Perfino la copertina – una misteriosa foto di un orecchio sott’acqua – viene curata dai Pink Floyd, mentre il fidato Storm Thorgerson è solo il curatore generale del progetto grafico. Che ovviamente non lo convince per nulla.
Il disco si apre con uno strumentale tra i più iconici della band: “One of These Days”. Il brano gode di una popolarità particolare in Italia, soprattutto in virtù del suo utilizzo come sigla per due programmi Rai: prima per “TG2 Ring”, poi per la celebre trasmissione sportiva “Dribbling”. Per assurdo, per molti appassionati di calcio a digiuno di musica, ancora oggi il pezzo è noto come la sigla di “Dribbling”.
Il brano è completamente basato su un giro di basso martellante e ossessivo, pare originato da un riff di chitarra di David Gilmour; per registrarlo vennero impiegati due bassi, suonati da Waters e da Gilmour, filtrati attraverso il Binson Echorec della chitarra di David. Il giro di basso viene presto affiancato dagli svolazzi alla slide guitar del chitarrista, fino a che, verso metà brano, viene pronunciata la frase “One of these days I’m going to cut you into little pieces” (“uno di questi giorni ti ridurrò in piccoli pezzi”). La voce, irriconoscibile perché rallentata e filtrata elettronicamente, è quella di Nick Mason che, da questo punto in poi, diventa uno dei protagonisti del brano alla batteria, come si vede bene nel film del live di Pompei.
Secondo alcune dicerie – non si sa quanto fondate – l’inquietante frase era dedicata a Jimmy Young, disc jockey della BBC particolarmente inviso a Roger Waters. Anche qui i motivi sono oscuri. Il brano rimane sicuramente come una delle testimonianze più vivide della creatività del gruppo e di certe atmosfere stranianti in cui erano maestri.
La successiva “A Pillow of Wind” è una bella ballata, piuttosto peculiare nel canzoniere della band e – purtroppo – semisconosciuta. La grande particolarità è nel testo, scritto da Roger Waters: è una delle poche canzoni d’amore del gruppo. La musica è invece opera di Gilmour ed è basata sull’arpeggio di una chitarra acustica e il volo pindarico della slide; il canto di David è dolce, a riproporre le atmosfere bucoliche tipiche di varie ballate del periodo precedente a “The Dark Side of the Moon”. Per Nick Mason il titolo della canzone deriva da una possibile mano del Mahjong, gioco del quale la band si era appassionata durante le sue tournée.
Un suono a metà tra una goccia che cade e il Sonar di un sottomarino apre “Echoes”, suite di oltre ventitré minuti. Il suono è in realtà un “si” acuto di pianoforte e l’effetto straniante è ottenuto filtrando lo Steinway di Wright attraverso un amplificatore Leslie. L’introduzione, così come la sequenza degli accordi, è ideata da Wright, mentre la fase centrale dove il brano vira al funk, è opera di David Gilmour.
Sopra il piano filtrato di Richard Wright si staglia la chitarra elettrica di David che suona cristallina e rotonda: il tipico suono di Gilmour, nulla di particolarmente tecnico ma dotato di una suggestione irraggiungibile. Poco prima dei tre minuti entra la batteria e inizia la parte cantata, con Gilmour alla voce principale e Wright abilissimo nell’armonizzare.
Il testo, a opera ancora di Waters, ha toni quasi mistici e riecheggia i pensieri di un uomo rivolti probabilmente a Dio e la storia stessa della Genesi. Si tratta forse del primo testo del Waters come lo conosceremo da “Dark Side” in poi, più visionario e poetico che in precedenza.
Dopo due strofe cantate, la suite prosegue con lo splendido lavoro di Gilmour alla chitarra che si staglia sul crescendo strumentale, fino al break del settimo minuto che introduce la sezione funky; questa parte ospita passaggi alla slide quasi rumoristici e l’organo di Wright che puntella la parte ritmica. Su un tappeto vorticante di effetti ambientali, con un vento che pare spazzare via la parte funk, pare di udire le grida degli albatros citati nel testo, mentre la tempesta avvolge tutto in modo inquietante; in realtà gli striduli fischi psichedelici sono ottenuti con la tecnica del reverse applicata a un Cry Baby sulla chitarra.
È di nuovo un ispiratissimo Richard Wright a far riemergere la musica dalle nebbie psichedeliche con le sue tastiere. Il crescendo porta al rientro della chitarra, che si produce in un bordone sulle note basse, per poi improvvisamente sfociare nella ripresa delle strofe iniziali. Il finale regala una finezza compositiva con l’esecuzione di una Scala Shepard: si tratta del cosiddetto canone eternamente ascendente, una scala suonata contemporaneamente su diverse ottave differenti, dando l’effetto di una scala che sale di altezza in modo indefinito. Una sorta di illusione uditiva che deve il nome a uno psicologo, Roger Shepard. Esempi se ne trovano nella “Offerta Musicale” di Bach e nel brano “I Am The Walrus” dei Beatles. La durata della suite (23 minuti e 31 secondi), simile a quella della sequenza chiamata “Giove e oltre l’infinito” tratta da “2001: Odissea nello Spazio” di Stanley Kubrick, ha fatto nascere una curiosa leggenda: sovrapponendo la musica alle immagini sembrerebbe quasi che la suite ricalchi le atmosfere della sequenza.