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Fine o trasformazione dell’impero romano? | STORIE ROMANE
Su StorieRomane un bel post che sviscera alcuni punti che non mi erano chiari sulla fine dell’Impero Romano d’Occidente. Dalla disamina ne consegue che ci fu un lungo periodo, circa mezzo secolo, in cui la giurisdizione imperiale in Italia rimase vaga, inizialmente a intero appannaggio di Costantinopoli ma poi, in qualche modo, legalmente di ritorno in Occidente – salvo che qualcosa non quadrava del tutto nel definire lo Stato imperiale d’Occidente, perché Teodorico aveva sì le insegne imperiali, ma era un barbaro, un re e non un imperatore, e ciò giuridicamente faceva la differenza: Costantinopoli si riconfermava come l’unica Capitale rimasta dell’Impero Romano; questo giustificò quindi la guerra di restaurazione di Giustiniano che volle riprendersi, oltre tutto l’Occidente possibile, anche quello che era stato una sorta di Protettorato italico caduto in disgrazia. Incollo:
L’imperatore d’Oriente Leone pose sul trono d’occidente un suo lontano parente, Giulio Nepote, nel 474, ma non riuscì a fermare la secessione da parte dei barbari di Spagna e Gallia. Alla fine, quando nel 475 venne deposto da Flavio Oreste, suo magister militum, per dare la porpora al figlio Romolo, Leone non riconobbe il nuovo imperatore, ma non fece neanche nulla per Nepote, rivelatosi incapace di gestire la situazione. Il nuovo imperatore aveva all’incirca tredici anni quando assunse la porpora il 31 ottobre del 475 e prese il soprannome ironico di Augustolo (piccolo Augusto). Nel frattempo Giulio Nepote, dopo che il 28 ottobre Oreste era entrato a Ravenna, si rifugiava in Dalmazia, dove suo zio era stato governatore e aveva molti contatti. Sarebbe poi morto lì nel 480.
Di fatto il potere era retto dal padre Oreste, nativo della Pannonia, che che aveva prestato inizialmente servizio sotto Attila. Il Senato tuttavia non riconobbe mai il nuovo imperatore, né lo fece l’imperatore d’oriente Zenone. Fu allora che Odoacre, a capo dei barbari di stanza in Italia, chiese come compenso terre in Italia, secondo il regime romano dell’hospitalitas, che prevedeva di darne un terzo ai barbari. Al rifiuto di Oreste, i due vennero allo scontro: sconfitto e ucciso il padre, Odoacre depose poi anche Romolo, esiliandolo.
Odoacre, acclamato rex gentium (di tutti i popoli), diversamente dai suoi predecessori, decise di non nominare un nuovo imperatore, ma di inviare le insegne imperiali a Costantinopoli, riconoscendo Zenone come unico imperatore romano, chiedendo per se il rango di patricius e magister militum. Zenone rispose freddamente, dicendo che il vero imperatore era Giulio Nepote, in Dalmazia, ma privatamente inviava lettere riconoscendolo patrizio. Quando Giulio Nepote morì nel 480, Odoacre rimase unico padrone del grosso della ex diocesi Italiciana.
Teoderico, che successivamente aveva spodestato Odoacre, si fece subito rimandare indietro le insegne imperiali ed ebbe inizialmente buoni rapporti col Senato. Quest’ultimo allo stesso modo andava d’accordo col sovrano: alcuni senatori chiamarono Teoderico princeps e augustus in un’epigrafe. Una cronaca del tempo, l’anonimo valesiano paragona Teoderico a Traiano e Valentiniano. Cassiodoro non si fa scrupoli a tratteggiarlo come un princeps. Nel 500, per festeggiare il suo trentesimo anno di regno, Teoderico va a Roma. In tutto e per tutto la festa ricorda i tricennalia di Costantino: il re che marcia in trionfo, fa donazioni di frumento, presiede addirittura i giochi nel Circo Massimo, infine entra in Senato e fa un discorso in cui dice di voler mantenere intatti i privilegi concessi dai suoi predecessori (equiparandosi quindi agli imperatori).
Nonostante la riconquista della Gallia meridionale i rapporti però si guastarono. In seguito a delle dispute teologiche, nel 524, parte del senato cospirò per sostenere un papa diverso da quello voluto da Teoderico. Il re, molto anziano, reagì duramente, credendo in una congiura più ampia contro i Goti. Ne pagò le conseguenze tra gli altri Boezio, che venne condannato a morte. Il regno di Teoderico si inasprì e il re si fece più sospettoso. Nel 526, ormai vecchio, morì l’ultimo re barbaro in grado di sintetizzare le istanze romane e barbare in Italia. A succedergli fu il nipote Atalarico, figlio della figlia Amalasunta, che la madre allevò nel culto della cultura romana, non senza le ire dell’aristocrazia ostrogota.
Qualcosa che attende
Un esiguo bottino attende la sua dissipazione sulle rive del fiume, ma quel che è in realtà un torrente è un flusso d’idrocarburi ghiacciati, un mare in attesa, un abisso inumano che abbraccia.
La rincorsa alla mutazione
Aspetto di essere chiamato dalle orde spumeggianti di nero in agguato lì, sul ciglio istantaneo degli eventi. Attendo, e nulla di ciò che sono potrà mai più esistere.
Desaturazione
Resto a ricordare le perversioni psichiche di un sistema adimensionale che irrompe nei miei sensori, fino a desaturare la complessa distanza tra me e ciò che non potrò mai essere.