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Archivio per aprile 20, 2016

I motivi


Lo scarto dalle definizione rende il percorso pieno e desolante, motivi di una ricostruzione psichica alternativa e inumana.

Il ritorno di Ludovico Ariosto e dell’Orlando Furioso a Ferrara | FantasyMagazine.it


Su FantasyMagazine la segnalazione di un bellissimo progetto dell’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara che, insieme al Comune di Ferrara, si sta impegnando per ridare letteralmente corpo ai contenuti dell’Orlando furioso. Ecco i dettagli:

Ludovico Ariosto e Ferrara sono intrecciati oltre i limiti del tempo, oltre i cinque secoli dall’editio princeps dell’Orlando furioso. L’Istituto di Storia Contemporanea e il Comune di Ferrara, per farne risaltare il valore nell’immaginario collettivo, stanno lavorando Per conto di Ariosto. Questo il titolo del progetto di comunicazione che hanno sviluppato i giornalisti Matteo Bianchi e Irene Lodi, dando letteralmente corpo ai contenuti del poema cavalleresco. Il progetto, che ha già ottenuto il patrocinio del Comitato nazionale incaricato dal Mibact, ha un protagonista in carne e ossa. Il cantautore Matteo Pedrini, infatti, si è vestito dei panni ariosteschi sia per il vissuto personale sia per la straordinaria somiglianza; tanto che la grafica del progetto, disegnata da Silvia Franzoni, gioca tra la sua fisionomia e il ritratto di Tiziano del 1515, oggi al Museum of Art di Indianapolis.

Gli incontri sulla piazza e nei luoghi dell’aureo passato estense raggiungeranno l’apice il prossimo 4 maggio 2016, nella Biblioteca Comunale Ariostea, dov’è conservata l’effigie in marmo dell’alloro cortigiano. Alle 17.30 di mercoledì pomeriggio, andrà in scena la presentazione ufficiale del Furioso, come se il capolavoro in versi fosse uscito oggi per la prima volta. A dialogare con l’autore, personificato nuovamente da Pedrini, sarà il poeta e performer Lello Voce, dando voce a un confronto estemporaneo che metterà in relazione passato e presente grazie agli argomenti di una modernità sorprendente. Al di là delle difficoltà che incontrerebbe adesso un emergente, specie dovendosi rapportare con i media e il pulviscolo editoriale che si occupa di poesia, si parlerà di valorizzare la femminilità oltre le apparenze, l’uguaglianza di qualsiasi coppia di fronte a sentimenti autentici, o della paura nei confronti dell’altro sconosciuto, suscitata dai pregiudizi. Paura che va curata attraverso empatia e integrazione. L’appuntamento – fuori da ogni schema – supererà i confini spazio-temporali per consentire un confronto tra intervistato e intervistatore, facendo sì che Ariosto in persona possa rispondere alle domande più attuali.

Lankenauta | Le streghe di Lenzavacche


Mi torna in mente “La strega e il capitano”, libro minore e poco noto di Leonardo Sciascia. Libro nel quale il grande scrittore siciliano ricostruisce la vicenda di una certa Caterina Medici, condannata per stregoneria, strangolata ed arsa in piazza il 4 marzo 1617. Caterina è solo una delle tante donne, nel corso dei secoli, ad essere stata accusata di avere poteri diabolici e letali; una delle tante donne che, come scrive Sciascia, “…credeva di essere una strega o, quanto meno, aveva fede nelle pratiche di stregoneria. E forse una fede meno intera di quella dei suoi accusatori: poiché, in fatto di stregoneria, l’inquisitore e l’inquisito, il carnefice e la vittima, partecipavano dell’uguale credenza…“. Poiché avversare la stregoneria implica, da parte di inquisitori, giudici e giustizieri di ogni genere, una fede in tali pratiche pari a quelle delle donne ritenute streghe. Altrimenti perché tanto impegno?

Quest’incipit, su Lankelot, segnala e recensisce Le streghe di Lenzavacche, di Simona Lo Iacono.
Parlare di streghe è sempre istruttivo, fa comprendere quanto regime assolutistico sia stato – e pretende di esserlo anche ai nostri giorni – quello imposto dal Cattolicesimo, attraverso un arco di venti secoli di cui s’intravede, finalmente, la fine, sia dal lato secolare che da quello religioso. Un brano della rece:

La Caterina di cui Sciascia ricostruisce la storia è vissuta e morta a Milano. Le streghe di Lenzavacche, invece, sono siciliane. Sempre e solo donne, chiaramente. Magari madri di figli senza padri, mogli ripudiate ed escluse, spose gravide ed emarginate. Donne che, sempre nel famoso ‘600, si riuniscono in una casa attorno alla figura di Corrada Assennato, ripudiata da un padre che aveva scacciato sua moglie e il figlio che aveva in grembo condannandoli alla morte e all’oblio. Corrada, raccolto l’anatema paterno, si ritira proprio lì dove sua madre e il fratello nato morto erano stati sepolti, a Lenzavacche. “Rivestivasi di poi di saio monacale, mendicando e accogliendo nella villa madri diseredate e senza futuro. In poco meno che duecento e triginda die la villa popola vasi di ingravidate, di moribonde e peccatrici, chi per violenza o abuso, chi per follia d’amore“. Davanti ad una comunità di donne tanto neglette e disprezzate, l’ignoranza e l’odio non tardano a farsi sentire. Alla diceria segue l’accusa di stregoneria ed all’accusa di stregoneria seguono la violenza e la morte.

Ma le streghe di Lenzavacche, come tutte le donne che conoscono gli angeli delle erbe, che sanno leggere e scrivere, che sono dotate delle stesse qualità di un uomo, hanno saputo sopravvivere e partorire figlie a cui tramandare insegnamenti e misteri, conoscenza e doni. Quegli stessi doni che, nel 1938, sa governare perfettamente Tilde, discendente di quelle streghe che, un tempo, abitavano nella casa in cui la donna vive assieme a sua figlia Rosalba. Donne senza uomini, ovviamente. Ma rese madri da semplici sposi dell’anima e del seme. Tilde con Rosalba. Rosalba con Felice. Un figlio maschio nato da un padre amato perdutamente e senza ragione, arrivato per caso a Lenzavacche per arrotare coltelli e poi cacciato. Felice nasce senza essere atteso, ma nasce. “La prima volta in cui ti vidi eri talmente imperfetto che pensai che nonna Tilde avesse ragione. Avrei dovuto mettere sotto la tua culla otto pugni di sale, bere acqua di pozzo e invocare le anime del purgatorio. Poi dire tre volte: «Maria Santissima abbi pietà di lui», affidarti alle mani del primo angelo in volo e assicurarti al collo una catena della buona morte. Non lo avevo fatto. D’altra parte eri un imprevisto, e con gli imprevisti non si allestiscono scongiuri e preparativi“.

Eymerich | MILITANT recensisce IL SOLE DELL’AVVENIRE vol. 3: NELLA NOTTE CI GUIDANO LE STELLE


Recensione all’ultimo romanzo di ValerioEvangelisti, mai troppo considerato un grande.

Questo terzo volume conclude l’imponente trilogia sulle vicende della Romagna tra l’Ottocento e la metà del Novecento (qui e qui le recensioni agli altri due volumi). Un romanzo sui generis nel panorama letterario italiano, una storia collettiva raccontata attraverso l’esperienza di famiglie romagnole che si trovano, loro malgrado, ad attraversare la Storia ufficiale, quella segnata dalle date e dagli avvenimenti simbolici. Il più delle volte, a subire il peso di una Storia che travolge i destini delle popolazioni. Lungi da una rassegnata passività, però, le famiglie contadine raccontate in questa epopea moderna reagiscono e cambiano il corso di questa storia, si infilano negli interstizi del potere, si adattano alle circostanze, le sconvolgono, attuano forme di resistenza esplicita o implicita, insomma formano quella storia di cui sono al tempo stesso protagoniste e vittime, ma mai ignare spettatrici. In questo volume i discendenti di Attilio Verardi e Rosa Minguzzi vivono alcuni dei momenti più tragici della storia nazionale: la lenta ascesa del fascismo come reazione agraria alla forza operaia e contadina del biennio rosso, i lunghi anni del regime e infine la lotta di Liberazione vista qui attraverso particolari vicende romagnole, eterodosse ma al tempo stesso capaci di descrivere la complessità del fenomeno resistenziale. La tesi di fondo è però la stessa in tutti e tre i volumi della trilogia: per le classi subalterne la storia si cambia solo attraverso l’uso consapevole della forza. Non è un caso che il secondo volume abbia, come sottotitolo, l’affermazione: chi ha del ferro ha del pane, che costituisce il vera messaggio di fondo dell’intera trilogia. In quest’ultimo lavoro, la passività con cui la sinistra italiana assiste all’avanzata della reazione agraria e fascista, la fiducia cieca di un certo “socialismo” nelle istituzioni, nelle garanzie di una democrazia liberale vista come dato acquisito, un certo riformismo “contadino”, sono alla radice della sconfitta operaia e contadina degli anni Venti. Il fascismo poteva essere fermato, e solo l’ottuso riformismo pacifista della sinistra dell’epoca impedì di stroncare un fenomeno che aveva le sue determinate ragioni di classe, ma non aveva i caratteri dell’inevitabilità. Poteva – e doveva – essere evitato.

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